1 Luglio 2019

Putin, Xi e Trump e il G-20 del nuovo ordine mondiale (2)

Putin, Xi e Trump e il G-20 del nuovo ordine mondiale (2)
Tempo di lettura: 3 minuti

L’incontro tra Donald Trump e Kim Jong-un sul confine smilitarizzato tra le due Coree è stata la ciliegina sulla torta dell’intesa trilaterale raggiunta al G-20 di Osaka tra Cina, Russia e Stati Uniti.

Un’intesa che non pone fine alle discordie tra le tre potenze globali, destinate a perdurare, ma che inizia a dargli un primo ordine, fondato sul principio che i conflitti tra potenze non devono oltrepassare la soglia critica oltre la quale da freddi – ovvero gestibili a mente fredda – diventano caldi.

Trump, Xi, Putin e il nuovo ordine

Un primo passo verso un ordine, appunto, che in prospettiva dovrebbe rendere meno imprevedibili e pericolosi i contrasti globali. Da questo punto di vista la cooperazione di Putin e Xi al successo nordcoreano di Trump è passo significativo (Piccolenote).

Il presidente degli Stati Uniti, da parte sua, sa farsi pubblicità, quindi non si è accontentato della stretta di mano che rilancia alla grande il negoziato con Pyongyang, ma è voluto entrare nella storia, varcando il confine nordcoreano, primo presidente Usa a farlo.

L’invito di Kim alla Casa Bianca è, invece, da leggersi in chiave di politica interna: la visita, se si farà, servirà a Trump per mostrare ai suoi elettori che le sue promesse di un mondo più stabile e pacificato sono state mantenute.

La sconfitta dei falchi

Di interesse notare che al G-20 i falchi della Casa Bianca hanno volato basso: interpellato sull’incontro tra Xi e Trump, Peter Navarro, consulente economico fautore di una guerra economica a tutto campo contro il Dragone, “ha scrollato le spalle” (Washington Post).

Altri, invece, hanno notato l’assenza di John Bolton in Corea del Nord, dove invece Trump si è fatto accompagnare da Tucker Carlson, l’anchorman della Fox News che alcuni giorni fa sembra abbia aiutato a disinnescare l’attacco all’Iran programmato dal Consigliere per la sicurezza nazionale Usa.

Bolton era stato spedito a Ulan Bator, capitale della Mongolia, da dove ha twittato di “essere felice per l’accoglienza” ricevuta, sottolineando l’importanza strategica della visita… Felicità troppo ostentata per esser vera.

Libero dai falchi, Trump ha dunque potuto liberare la sua diplomazia da immobiliarista di successo, che, pur nei suoi limiti, ha dato frutti.

Favorito in questo dalla spinta convergente di Xi e Putin, con i quali, nelle distanze,  condivide l’idea di fondo di porre fine alle “guerre infinite” scatenate dai neocon nel post 11 settembre (punto sorgivo dell’attuale disordine globale).

Dall’unica potenza globale all’America First

Certo, c’è una problema di fondo da dirimere, ovvero la spinta propria dell’America First, che per realizzarsi deve imporre la primazia degli Stati Uniti a Russia e Cina.

Un’idea basata sulla pretesa dell’eccezionalismo americano, che vede negli Stati Uniti la nazione “indispensabile”. Pretesa esoterica, dato che si basa su un’asserita superiorità morale Usa, che nella sua devianza diventa odioso suprematismo.

Un eccezionalismo che però Trump declina in modalità pragmatiche, finendo per smussare la conflittualità insita in ogni pretesa esoterica.

Detto questo, va ricordato che se l’America First ha una proiezione globale assertiva, rappresenta però un passo indietro rispetto alla proiezione precedente, insita nella pretesa, molto più assertiva, dell’America come “unica potenza globale”.

L’America First può convivere con altre potenze globali, anche se in maniera conflittuale, mentre la pretesa neocon vedeva, e vede, tali potenze solo come nemici esistenziali da abbattere.

La prima prevede possibilità di mediazioni e accordi, come dimostra il G-20 di Osaka, la seconda non conosce la via del compromesso.

Il nuovo ordine che si prospetta non riguarda solo la geopolitica, ma anche il livello economico-finanziario, come da intervista di Putin al Financial Times, nella quale ha affermato che il “liberismo è obsoleto” (sul punto torneremo).

Attacco alla Siria

Subito dopo il G-20 della distensione, l’attacco israeliano in Siria, diretto, secondo Tel Aviv, contro obiettivi iraniani: 4 i morti e decine i feriti. Iniziativa dal valore simbolico, dato che bombardamenti del genere non producono alcun risultato reale (Haaretz).

Se Netanyahu in passato ha usato tali attacchi per rilanciare la sua immagine all’interno dell’agone politico israeliano, la scelta dei tempi di quest’ultimo sembra suggerire altro, ovvero che non tutti in Israele sono d’accordo su una de-escalation con l’Iran, tema che, data la sua attuale importanza globale, è stato sicuramente al centro dei colloqui Trump-Putin (e magari anche Trump-Xi).

La risposta non si è fatta attendere: alcune ore dopo l’attacco, la notizia che la Russia ha completato il dispiegamento degli S-300 in Siria, avendo installato l’ultima batteria del sofisticato sistema anti-aereo. Una risposta diplomatica e militare allo stesso tempo. Vedremo.

Mondo
22 Luglio 2024
Ucraina: il realismo di Haass