10 Febbraio 2017

Si apre una crepa nel muro del Pacifico

Si apre una crepa nel muro del Pacifico
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Trump ha telefonato al leader cinese Xi Jinping. Questa la notizia che ieri ha fatto il giro del mondo, perché indica l’inizio di un dialogo tra le due potenze. Nella nota diffusa dalla Casa Bianca, si dà atto che il presidente ha accolto «la richiesta del presidente Xi di tenere fede alla nostra politica di “Una sola Cina”».

 

La telefonata era stata preceduta da un altro gesto distensivo: la Casa Bianca aveva infatti dato notizia che le congratulazioni cinesi per la vittoria di Trump erano risultate gradite, tanto che il neopresidente aveva inviato al presidente cinese una lettera in cui ringraziava Xi Jinping per quella nota e augurava «ai cinesi prosperità per il nuovo anno cinese, quello del Gallo», come riferito dalla Reuters.

 

Sempre secondo la Reuters, «il Presidente Trump affermava che non vede l’ora di lavorare con il Presidente Xi per far crescere una relazione costruttiva a beneficio di entrambi i Paesi, Stati Uniti e Cina».

 

Della lettera aveva parlato anche il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lu Kang, che in una conferenza stampa ha dichiarato che i cinesi avevano «molto apprezzato gli auguri» indirizzati da Trump al presidente Xi e al popolo cinese.

 

Nota a margine. Roba burocratica, forse, e forse un po’ noiosa per i nostri lettori. E però di grande rilevanza, dal momento che la telefonata di Trump a Tsai Ing-wen, presidente di Taiwan, subito dopo la vittoria elettorale del tycoon, era suonata come una provocazione diretta alla Cina, dal momento che l’esistenza stessa di Taiwan e le sue rivendicazioni sul territorio cinese rappresentano una costante sfida per Pechino.

 

La telefonata provocatoria peraltro era perfettamente in linea con il programma elettorale di Trump, che ha più volte ribadito la necessità di frenare l’aggressività economica asiatica e cinese in particolare, fonte di enormi problematiche per le industrie americane.

 

Per Trump è stato facile porre un freno alla concorrenza dei prodotti asiatici non cinesi: è bastata una firma, quella che ha cancellato l’area di libero scambio trans-pacifico istituita da Obama (il noto TPP). 

 

Meno facile e molto più pericoloso per la stabilità mondiale sarà per Trump arginare la concorrenza del Dragone, cui anzi l’obliterazione del TPP fa gioco perché, tagliata fuori dall’accordo, gli chiudeva spazi oggi riaperti.

 

Insomma, l’elezione di Trump sembrava aver inasprito ancora di più il contrasto tra le due superpotenze mondiali, già presente al tempo di Obama e alimentato, tra l’altro, anche dalle mire di Pechino sul Mar cinese meridionale, fonte di ulteriori scontri con Paesi alleati di Washington. Roba da terza guerra mondiale, insomma.

 

Quanto accaduto in questi giorni attutisce i termini di un confronto sempre più pericoloso e indica una nuova via, quella di un accordo bilaterale tra le due superpotenze tale da soddisfare entrambi. I margini per un negoziato ci sono e sono anche tanti. Da ieri pare ci sia anche la volontà di perseguirli.

 

 

Un rinnovato dialogo con Mosca, iniziativa presente nel programma di Trump, può aiutare, stante gli stretti rapporti tra Putin e Xi Jinping.

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