7 Ottobre 2019

Trieste, Parigi: la polizia nel mirino

Trieste, Parigi: la polizia nel mirino
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Giovedì scorso un agente di polizia, Michael Harpon, ha ucciso quattro colleghi a Parigi. Due giorni dopo, sabato, un uomo di origini dominicane ha assassinato altri due agenti a Trieste.

Due eccidi inquietanti, avvenuti in rapida successione, che hanno in comune non solo l’obiettivo, cioè degli uomini preposti alla sicurezza dei cittadini, ma anche il fatto che si sono consumanti in una centrale di polizia, luogo nel quale gli agenti dovrebbero essere al sicuro: la prefettura dell’Île della Cité, nel cuore di Parigi, e la questura di Trieste.

Polizia: eccidi professionali

Due eccidi condotti con professionalità. L’agente di polizia che ha fatto strage a Parigi ha usato un pugnale in ceramica, materiale che passa inosservato ai controlli di sicurezza tarati per segnalare metalli. E l’arma bianca permette di fare meno rumore durante un’operazione, aumentandone l’efficacia.

La dinamica della strage parigina è nota, l’uomo armato di pugnale entra nella sede della polizia in cui lavora e inizia a imperversare uccidendo chi gli capita a tiro prima di essere abbattuto.

La dinamica dell’eccidio triestino va ripercorsa. Alejandro Stephan Meran ruba un motorino, il fratello, Carlysle Stephan, lo viene a sapere e lo denuncia alla polizia, che va a prenderlo a casa.

Alejandro segue gli agenti docilmente. quindi, arrivato in questura, chiede di andare in bagno. Viene assecondato, ma, uscito, ruba la pistola all’agente che piantona la porta, Pierluigi Rotta, e lo fulmina. Matteo Demengo, accorso agli spari, viene ucciso a sua volta.

Quindi Alejandro, presa anche la pistola di quest’ultimo, cerca di introdursi ai piani superiori, dai quali però arriva fuoco di sbarramento. Cerca allora di guadagnare l’uscita sparando a chiunque gli si pari davanti. Uscito, viene ferito e disarmato da  alcuni agenti cui aveva a sua volta sparato.

Alcuni particolari fanno pensare a un uomo addestrato: se sfilare la Beretta di Rotta dalla fondina poteva essere esercizio praticabile, diverso il  caso di quella di Demenago, che aveva la fondina in polimeri, di ultima generazione, e una doppia sicura da togliere per poterla estrarre.

Inoltre, agenti e inquirenti hanno notato che, per ricaricare, egli fa scarrellare il caricatore con gesto disinvolto. Tanto che i magistrati concludono: “Molto inquietante lo scarrellamento: il gesto non è alla portata di tutti e dà conto della familiarità con le armi”.

Le “voci”

Insomma, l’uomo era esperto, come esperto era l’agente di Parigi, non un semplice poliziotto, ma un uomo della DRPP, la direzione di intelligence della polizia parigina.

Inoltre, va notato un particolare dell’assalto alla questura di Trieste: il killer non cerca immediatamente la fuga, come da dinamica normale per un uomo che voglia guadagnare la libertà, ma cerca la strage, come denota il fatto che tenti di salire ai piani superiori.

Il killer di Parigi avrebbe dato segni di radicalizzazione fin dal 2015, almeno a stare a una lettera inviata dai suoi colleghi al tempo e ricordata dopo i fatti di sangue. Particolare che risulta invero non credibile per un uomo in forza all’intelligence della polizia.

La madre di Alejandro Meran dice che il figlio aveva disturbi mentali e che la notte prima della strage aveva udito “voci” nella sua mente: si sentiva perseguitato da persone che volevano “ammazzarlo”. “Voci” avrebbero tormentato anche Michael Harpon, la notte precedente il delitto.

Delle due l’una: o siamo di fronte a una follia dilagante che attraverso “voci” notturne spinge persone più o meno innocenti a colpire e far strage in questure e prefetture, oppure siamo di fronte a un sofisticato attacco al cuore della sicurezza europea, quella che negli ultimi anni ha impedito alle Agenzie del Terrore di colpire il Continente (particolare che non ha fatto notizia come le stragi: il male fa più “notizia” del bene).

Un’ipotesi, quest’ultima, almeno altrettanto ragionevole di quella fondata sulle misteriose “voci” notturne; opzioni che peraltro possono darsi in combinato disposto: non sarebbe la prima volta che il Terrore usa disturbati mentali.

Già, il Terrore. Sembrava essersi dissipato, come evidenziato dalla scarsa rilevanza ottenuta dai proclami dell’Isis e di al Qaeda lo scorso 11 settembre.

Non è così. La spinta fortissima per una nuova destabilizzazione globale – dalla crisi iraniana a quella di Hong Kong alla guerra civile americana (impeachement) – offre nuovi spazi di manovra al Terrore globale, che di destabilizzazione si alimenta. Dove quell’inevitabilmente è regola che si spera conosca eccezioni.

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