Trump vs Netanyahu, il summit Nato e la bandiera ucraina strappata

Trump ha bombardato i siti nucleari iraniani, ma le vere bombe le ha tirate su Israele e l’Europa, meglio sui “volenterosi” europei che vogliono far diventare il conflitto ucraino una guerra mondiale.
Iniziamo da Israele, che ieri, su irata sollecitazione di Trump, ha dovuto ritirare l’attacco inviato contro l’Iran per asserite violazioni del cessate il fuoco della controparte. Bombardamento che avrebbe riaperto il vaso di Pandora appena richiuso.
L’intemerata di Trump contro Israele
Dopo aver ordinato il dietrofront, con un intervento più che tempestivo, Trump, interpellato sulla vicenda, si è lanciato in un’intemerata contro Tel Aviv, rea di aver attaccato pesantemente nonostante il cessate il fuoco e concludendo che si tratta di due “Paesi che combattono da così tanto tempo che non sanno più cosa cazzo stanno facendo”.
A nostra memoria, arricchita da anni di informazioni storiche, è la prima volta che un presidente americano rivolge una critica pubblica tanto aspra verso Tel Aviv. Peraltro, non era solo una critica, ma anche un monito: come se sapesse qualcosa, di cui aveva informato Israele, che urgeva a chiudere quella guerra per evitare disastri incalcolabili (questo il senso del “non sanno cosa stanno facendo”).
E torna prepotentemente alla memoria quanto avevamo scritto in una nota pregressa sull’avvertimento inviato in via riservata agli Usa dal Pakistan – presumibilmente per conto dell’alleato cinese – sulla ritorsione nucleare nel caso di un attacco nucleare israeliano all’Iran, che poi era l’unica carta di cui poteva disporre Tel Aviv per vincere un conflitto altrimenti perdente. Ed è probabilmente questa prospettiva che ha dato a Trump la leva per piegare il bellicoso alleato alla tregua.
E Netanyahu, genocida pragmatico, si è adeguato, dichiarando una “vittoria storica“, dal momento che, insieme all’alleato americano, Israele aveva raggiunto l’obiettivo di distruggere il programma nucleare iraniano. In realtà Tel Aviv non ha vinto affatto, né l’America si è coordinata con Bibi, almeno non il presidente. Ma questa è la realtà e conta poco adesso (vedremo col tempo), quel che conta è che solo proclamando vittoria Netanyahu poteva chiudere le ostilità.
L’Iran e la Cina
Del ruolo della Russia abbiamo accennato in altra nota, in questa va rilevato il ruolo fondamentale della Cina, il convitato di pietra di questa guerra, avendo investito decine di miliardi nelle infrastrutture iraniane nell’ambito dello sviluppo della Nuova Via della Seta ed essendo il principale acquirente del suo petrolio (il 90% del totale). A confermare che la Cina fosse della partita la dichiarazione rilasciata da Trump subito dopo il cessate il fuoco: “La Cina può continuare ad acquistare il petrolio iraniano“.
Dichiarazione del tutto scollegata dalla crisi appena risolta o da altri temi attualmente sul tavolo, quindi ancora più significativa. Una rassicurazione: come se Trump avesse voluto dire a Pechino che tutto poteva tornare come prima.
Quindi, il cessate il fuoco tiene, anche se il partito della guerra tenta in tutti i modi di riaccendere il rogo, come dimostra un rapporto dell’intelligence Usa fatto pervenire ai media secondo il quale l’attacco Usa ai siti nucleari iraniani avrebbe ritardato solo di qualche mese la Bomba.
Non è solo un vulnus alla credibilità di Trump, è soprattutto un modo per riproporre pericolo esistenziale iraniano (inesistente). Ovviamente si tratta di una sciocchezza, dal momento che sia l’AIEA, per bocca del suo direttore Rafael Grossi (che ha avuto un ripensamento postumo), sia il rapporto dell’intelligence Usa reso noto a marzo da Tulsi Gabbard, direttrice della National Agency, avevano escluso che Teheran stava costruendo la Bomba.
Ma la realtà conta nulla in queste cose, così alla Fake criminale dell’intelligence Usa si è contrapposta la Fake a fin di bene di Trump e del suo fidato Steve Witkoff, i quali hanno ribadito che l’attacco ha distrutto completamente il nucleare iraniano. Non è vero, ma serve a chiudere la crisi.
Tanto che sia Trump che Witkoff hanno accompagnato le loro dichiarazioni sul cessato pericolo con aperture verso l’Iran, con il primo che ha detto: “Penso che alla fine avremo una sorta di rapporto con l’Iran. Ho avuto rapporti [con loro] negli ultimi quattro giorni…”. Parole alle quali ha fatto eco il secondo, il quale ha rivelato che Stati Uniti e Iran hanno ripreso le trattative, aggiungendo: “I colloqui sono promettenti. Siamo fiduciosi“.
Il summit Nato e la bandiera ucraina
Così veniamo al vertice Nato, con Trump che in volo per Bruxelles, interpellato dai cronisti, ha dichiarato che l’articolo 5, quello che obbliga i Paesi Nato alla difesa collettiva, ha “tante interpretazioni“. Praticamente ha detto ai “volenterosi” che se vorranno muovere guerra alla Russia, lo faranno da soli…
Certo, al summit, incalzato ovviamente su una dichiarazione tanto rivoluzionaria, ha fatto marcia indietro, ribadendo l’impegno Usa alla mutua difesa e aggiungendo le laudi per come gli europei hanno accolto la sua richiesta di alzare la spesa per la Difesa al 5% del Pil (un suicidio collettivo, ma la Ue ormai da tempo è Cosa loro).
Ma il cenno fuori registro di Trump resta, nel senso che, nonostante le rassicurazioni pubbliche, non si sa bene cosa farebbe se i volenterosi fossero conseguenti alle loro pose muscolari contro la Russia.
Il fatto poi che Trump abbia rilasciato quelle dichiarazioni dopo aver infranto i sogni di Netanyahu di incenerire l’Iran grazie al Golem americano, e nonostante i vincoli ben più stretti che legano Israele agli Usa rispetto a quelli che la legano all’Europa, dovrebbe contribuire a far sorgere qualche domanda nelle vacue menti dei valletti della Ue (peraltro, Giappone, Corea del Sud e Australia hanno disertato il summit…).
Non per nulla il povero Zelensky, sedotto e abbandonato, si è presentato al summit senza l’abituale tenuta finta-militare, abbigliandosi da politico. Si ricordi che la sua tenuta era stata schernita da Trump e aspramente criticata da un cronista nel corso dell’incontro-scontro di marzo alla Casa Bianca con il presidente Usa. Così la dismissione della tenuta appare un segnale di pubblica acquiescenza nei confronti del refrattario alleato d’oltreoceano.
Peraltro, Zelensky ha tenuto a dire che, nel corso del faccia a faccia avuto con Trump a margine del summit, i due hanno parlato di cessate il fuoco, in linea con le dichiarazioni di Trump che nei giorni precedenti aveva ribadito la necessità della diplomazia per chiudere il conflitto.
Appelli che hanno avuto un’eco nella politica della sua amministrazione, che ha escluso nuovi aiuti militari all’Ucraina, come riferisce il Washington Post di ieri, mentre stanno per terminare i flussi approvati dal Congresso nell’era Biden.
Insomma, i margini di manovra dei volenterosi piromani europei vanno a restringersi e l’incendio ucraino vede possibilità di estinzione – seppur non ancora prossime – prima che si estingua la stessa Ucraina, costretta a continuare una guerra che non può vincere (anzi).
Le vicende di questo povero mondo spesso hanno dei simboli iconici, che rappresentano meglio di tante parole la realtà. Riportiamo da Strana: ieri, giorno prima del summit, il vento ha strappato la bandiera ucraina innalzata sul pennone più alto di Krivoy Rog, città natale di Zelensky…
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