29 Ottobre 2015

Turchia: "stretta" sulle opposizioni

Turchia: "stretta" sulle opposizioni
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È di questi giorni la notizia di un ulteriore giro di vite in Turchia contro giornali e giornalisti critici nei confronti del presidente Erdogan e del suo partito, l’Akp. Un altro colpo contro i media e le opposizioni, accusati di terrorismo per i loro legami, veri o supposti, con il nemico giurato di Erdogan, Fetullah Gulen (suo ex sodale ora in esilio negli Usa). Repressione che va a sommarsi a quella contro media e persone additati come fiancheggiatori del Pkk (il partito comunista curdo).

Il 1 novembre è giorno di elezioni, che si svolgeranno  in un clima avvelenato da repressione e accuse di golpe.

 

Nel riportare la notizia della nuova stretta, Marco Ansaldo, per la Repubblica del 29 ottobre, racconta come in questi giorni le autorità hanno diffuso «gli elenchi dei “terroristi” più ricercati». Così il cronista: «Gli “wanted” sono distribuiti in cinque elenchi secondo il livello di pericolosità: da quello rosso (pericolo massimo) al grigio. In mezzo ci sono gli elenchi blu, verde e arancione. Un esempio? Solo due presunti membri del sedicente stato islamico sono nell’elenco rosso. La maggior parte dei suoi militanti, anche quelli ricercati dopo la strage del 10 ottobre alla stazione di Ankara (102 morti), compare nell’elenco blu» (Erdogan ordina il blitz anti-media “Sangue su di noi, è come un golpe).

 

Nota a margine. Al di là della questione degli elenchi, che rende manifesta l’ambiguità che da sempre caratterizza i rapporti tra Ankara e il sedicente Califfato islamico, resta che uno dei problemi della complessa questione turca è che sia l’Europa che gli Stati Uniti sembrano affetti da afasia rispetto a quanto vi accade. Larghi dispensatori di patenti di democraticità e di lezioni sui diritti umani, nessuna voce si è alzata per tentare di arginare le evidenti derive autoritarie di Ankara.

 

Certo, da tempo Erdogan ha imparato a usare le proteste esterne ad uso interno, denunciando supposte indebite ingerenze. Ma la prudenza della comunità internazionale favorisce un pericolosissimo senso di impunità del Califfo turco e rischia di trasformarsi in indebita connivenza.

 

La Turchia sta vivendo un momento di drammatica transizione. L’ingresso in Europa, promesso dalla Merkel a Erdogan, potrebbe favorirne un esito positivo, ma solo se tale processo sarà accompagnato a un analogo processo di democratizzazione interna. D’altronde l’Europa non può aprire le sue porte a Paesi dove si distribuiscono patenti di terrorismo (e di conseguente inagibilità sociale e politica) con evidente strumentalità.

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