10 Giugno 2019

Twitter ci rende un po' stupidi

di Matteo Guenci
Twitter ci rende un po' stupidi
Tempo di lettura: 3 minuti

L’uso dei social media appartiene ormai alla nostra vita. Utili, certo, ma se usati male, possono risultare dannosi, come dimostra uno studio su twitter di Gian Paolo Barbetta, professore di economia politica all’Università cattolica del Sacro cuore di Milano.

Secondo tale studio, riportato sul Washington post, twitter “renderebbe i suoi utenti un po’ stupidi” a detta del professor Barbetta, che in un’intervista rilasciata al Post ha aggiunto: “È alquanto dannoso […] Non so dire se qualcosa cambi a livello mentale, ma posso dire che sicuramente cambia qualcosa nel comportamento e nelle prestazioni” intellettuali dell’utente.

Ricerca e tesi “positiva”

La ricerca è stata condotta nell’anno accademico 2016/2017, prendendo come riferimento 1500 studenti di 70 scuole superiori diverse. A metà degli studenti era stato richiesto di usare twitter per analizzare Il fu Mattia Pascal di Pirandello, postando citazioni e riflessioni e commentando i tweet dei loro compagni di classe. L’altra metà, invece, ha usato metodi di analisi tradizionali.

I risultati hanno dimostrato che le prestazioni degli studenti che hanno fatto uso di twitter sono calate del 25-40%, in particolare tra gli studenti più meritevoli, i quali nei test di riferimento avevano ottenuto punteggi molto più alti. E dire che ci si aspettava tutt’altro, come ricorda Barbetta: “Pensavamo di riscontrare un risultato  positivo” e invece…

Il ribaltamento degli esiti sperati dai ricercatori di Milano ha sollevato ulteriori domande. Sempre sul Post, Barbetta afferma che servono ulteriori dati per trarre conclusioni definitive sui “possibili effetti negativi” di twitter. Ma allo stesso tempo, dati i risultati del suo come di altri esperimenti, esorta a “essere più cauti sull’utilizzo delle piattaforme social”.

Implicazioni politiche

Pur non essendo sorpresa delle scoperte dell’équipe del professor Barbetta, Karen North, professoressa all’Annenberg School for Communication and Journalism della University of Southern California, ha dichiarato che questo studio ha delle implicazioni dirette anche per la politica, in quanto twitter si è di fatto ritagliato un posto di prima importanza nel dibattito politico.

Un problema non trascurabile, secondo la North, è il fatto che la piattaforma social in questione non si presta a spiegazioni o analisi approfondite: 280 caratteri non sono infatti sufficienti a tale esercizio. E “senza un quadro generale è più facile farsi fuorviare”.

Opinioni, queste, in forte controtendenza, dato che twitter, per fare un esempio, è di fatto il mezzo di comunicazione preferito del presidente americano Donald Trump ed è destinato a crescere di importanza nella politica americana; è su tale piattaforma che i candidati alle presidenziali del 2020 pubblicano annunci e commentano in tempo reale le notizie.

Secondo la North, riporta ancora il Post, “piattaforme come twitter non dovrebbero sostituire media più tradizionali, soprattutto nel confrontarsi con argomenti complessi, sia che si tratti di un’elezione presidenziale sia che si tratti della trama de Il fu Mattia Pascal“.

Le scorciatoie non ripagano

Il problema alla base di tutto, ha dichiarato Barbetta, è che le persone, se ne hanno occasione, prendono scorciatoie. “Ma in questo caso la scorciatoia non porta a destinazione”, ha aggiunto, “può anche portare da un’altra parte”. Twitter, secondo questo studio, rappresenta la scorciatoia per eccellenza.

Barbetta, infatti, ritiene che le cause dello scarso rendimento degli studenti sono due: la prima è l’erronea convinzione di aver assimilato a fondo il libro grazie ai tweet che ne riportano i contenuti; la seconda è che il tempo trascorso sui social media sostituiva il tempo effettivo dedicato allo studio e quindi alla comprensione del testo.

I risultati di tale ricerca mettono in luce come il sempre più frequente uso del mondo virtuale come mezzo di apprendimento e di scambio di informazioni comporti molto spesso un prezzo da pagare: una approssimativa, se non distorta, veicolazione di contenuti e, cosa ancora più pericolosa, la convinzione di aver compreso il contenuto al quale il messaggio rimanda.

Problema che spazia dalla cultura ad altri campi, come abbiamo visto, tra i quali, appunto, la politica. Di per sé l’utilizzo dei social media è utile, né si può tornare alle ricetrasmittenti. Ma occorre usare l’attenzione del caso per evitare di affondare in un mare virtuale di alterazioni.

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