13 Novembre 2019

Un omicidio mirato scatena un nuovo conflitto Israele-Gaza

Un omicidio mirato scatena un nuovo conflitto Israele-Gaza
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Venti di guerra in Israele, dopo l’uccisione del più autorevole leader della Jihad islamica a Gaza. Un assassinio che appartiene alla tormentata guerra a bassa intensità che imperversa tra la Striscia e lo Stato israeliano, in un alternarsi di fiammate improvvise e fragili tregue.

Un nuovo incendio è stato appiccato, con una pioggia di razzi su Israele e bombardamenti sulla Striscia. A bruciare non sono solo vite, ma anche prospettive.

Il lungo stallo di Israele

Israele attraversa una fase delicata. Da mesi ha un governo provvisorio. Dopo l’elezione dell’aprile scorso, infatti, che vide Netanyahu vincente ma impossibilitato a governare, la storia si è ripetuta nelle ultime votazioni, con il leader del Likud ancora bloccato.

Da qui l’ipotesi di un Israele senza Netanyahu, il primo da decenni, offerta al leader di Blue and White Benny Gantz, cui è stato dato mandato di formare il governo, ma ancora senza esiti.

Lo schema che egli sperava vincente si basava sulla possibilità di un governo di unità nazionale con il Likud, ma senza Netanyahu, stante i guai del premier con la magistratura.

Uno schema sospeso al verdetto della Corte Suprema, che deve decidere se dare il via a un processo contro il premier, con verdetto da tempo rimandato.

Prospettiva svaporata

Da questo punto di vista, più che importanti le dichiarazioni del Procuratore generale Avichai Mandelblit, il quale ha detto che il verdetto sarebbe giunto presumibilmente a fine novembre.

Una scadenza che è suonata come una campana a morto per le prospettive di Gantz.  Perché solo un’incriminazione di Netanyahu avrebbe permesso che il premier allentasse la presa sul Likud, che avrebbe potuto così aprirsi alla prospettiva suddetta.

Invece il verdetto arriverà – se arriverà – solo dopo che Gantz avrà rimesso il mandato provvisorio, che decadrà il 20 novembre.

Da qui la missione ancora più impossibile di Gantz, cui pure si era chiusa la strada di un impossibile accordo con il partitino di destra di Naftali Bennet, l’unico che aveva rivendicato un’autonomia da Netanyahu.

Tale accordo non avrebbe dato la maggioranza a Gantz, ma avrebbe aperto una breccia nella coalizione di destra, dalla quale avrebbero potuto fuoriuscire alcuni esponenti del Likud, questi sì decisivi.

Impossibile la fuga in solitaria di Bennet, perché vanificava le sue aspirazioni di diventare futuro leader della destra. Ma anche no, se giustificata dalla necessità di impedire una terza, disastrosa, elezione.

Netanyahu ha temuto l’ipotesi, tanto che si è affrettato a nominare Bennet ministro della Difesa, bloccandola.

L’apertura tattica ai partiti arabi

Preso atto dello stallo, Gantz aveva aperto alla possibilità di un governo con l’appoggio esterno dei partiti arabi della Joint List, come avvenne al tempo id Yitzhak Rabin, la cui figura, non a caso, è stata commemorata come mai prima in questi giorni, nei quali cadeva l’anniversario dell’assassinio (4 novembre).

Lo stesso Gantz lo aveva ricordato con parole appassionate: “Lo Stato di Israele non si arrenderà mai all’odio […] I figli di Israele non cresceranno mai più in uno Stato in cui alcuni leader santificano l’odio”.

Ma in realtà non ci sono margini per ripetere la coraggiosa quanto tragica avventura di Rabin. Israele da allora ha virato troppo a destra.

Così convince Timesofisrael che scrive come l’apertura di Gantz ai partiti arabi era tattica, serviva cioè a convincere il Likud ad aprirsi a un governo di unità nazionale sotto Gantz per evitarla.

La guerra che favorisce Netanyahu

Così veniamo all’assassinio del leader della Jihad islamica, che ha riacceso al parossismo lo scontro tra arabi e israeliani, rendendo impossibile l’apertura, seppur tattica, di Gantz.

I leader dei partiti arabi accusano apertamente il premier israeliano di aver ordinato l’omicidio del comandante della Jihad a scopo politico, per creare criticità insormontabili a un governo sostenuto dalla Joint List e per urgere l’unità nazionale.

“Progettata o meno che sia, l’escalation di Gaza aumenta le possibilità di un governo di unità”, titola il Timesofisrael.

Gli fa eco il titolo di Haaretz: “L’uccisione del comandante della Jihad islamica potrebbe non essere uno stratagemma politico, ma sicuramente avvantaggia Netanyahu”.

“Nessuno vuole le elezioni. Nessuno vuole la guerra. Ma assolutamente nessuno vuole elezioni durante una guerra. Che sia intenzionale o no, il gioco è cambiato”. Ha spiegato un esponente di Blue and Wihte a Timesofisrael.

Aumentano dunque le possibilità di un accordo tra Likud e Blue and Withe, la cui leadership andrebbe a Netanyahu, il quale vedrebbe forse anche svaporare il rischio del verdetto della Corte Suprema.

Conflitto a geometria variabile

La guerra, al solito, cambia tutto. Detto questo, la prospettiva deve ancora prendere forma. E tante sono le variabili, tra le quali i rischi connessi al nuovo, tragico, conflitto.

“Hamas è, per ora, l’unico adulto responsabile nel conflitto Israele-Gaza”, titola Haaretz, che avverte Netanyahu a non perseverare nei raid indiscriminati sulla Striscia, dato che Hamas per ora non ha assecondato la Jihad.

Ma la guerra si accompagna alla confusione. E Netanyahu ha sempre vantato la sua indubitabile capacità di navigare i mari in tempesta.

Da cui ulteriori rischi, per la Striscia come per Israele. Per ora i morti tra i palestinesi sono oltre venti e tanti sono i feriti in Israele. Tragica contabilità destinata a crescere. Netanyahu è determinato a vincere la guerra, dentro Israele e fuori. Vedremo.

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