Usa. Il Capo del Pentagono nella tempesta
Tempo di lettura: 4 minutiIl Capo del Pentagono Pete Hegseth è finito un’altra volta nell’occhio del ciclone: dopo l’attacco a una barca venezuelana sospettata di trasportare droga, avrebbe dato l’ordine di uccidere i sopravvissuti.
Hegseth afferma di non aver dato lui l’ordine e che non era presente quando è stato impartito e Trump lo sostiene, ma le accuse montano. Apparentemente questa tempesta sembra nascere dalla necessità di chiudere la porta sia a nuove aggressioni contro le barche venezuelane sia, soprattutto, alla guerra che incombe su Caracas, rimuovendo dalla scacchiera il pezzo più ingaggiato in questa criminale determinazione.
Ma è davvero così? In realtà, la questione è più complessa. Hegseth è solo un esecutore, la tragica partita si deciderà nello scontro tra neocon e Trump, con i primi che vogliono a tutti i costi la guerra mentre Trump continua nella sua muscolare indecisione, non fosse altro che perché sa che lo spettacolo dei marines che ritorneranno in patria dentro sacchi di plastica – e ce ne saranno se attacca – lederà non poco la sua immagine.
A volere a tutti i costi questa guerra sono i neoconservatori, i quali non hanno nulla da perdere, dal momento che da decenni governano gli Usa da dietro le quinte lasciando che altri si prendano le responsabilità delle loro sanguinarie follie. E, nello specifico, contano sul Capo del Dipartimento di Stato Marco Rubio, che più di altri sta spingendo per l’attacco.
Hegseth, il vicepresidente J. D. Vance e il potente segretario politico del Pentagono Elbridge Colby, di cui scriveremo di seguito, sono in linea col presidente, condividendo, riguardo al Venezuela, sia la posa muscolare che le ambiguità, che per ora hanno evitato lo scontro aperto.
Va anche ricordato che sia Hegseth che Colby sono da tempo nel mirino dei neocon, dal momento che non condividono le loro guerre infinite (anche Vance è criticato da questi ambiti, ma per ora è intoccabile); né, a differenza dei loro antagonisti, hanno un filo diretto con l’apparato militar industriale che le guerre senza fine hanno ingrassato in modalità monstre.
Hegseth è un ex anchorman televisivo, nulla più, e non capisce nulla di affari militari. Trump l’ha voluto in quel posto solo per la sua fedeltà, uno dei pochi della sua amministrazione di cui può fidarsi. Colby, invece, è un vero genio del settore, ma è rimasto a lungo emarginato dalla stanza dei bottoni proprio per la sua idea degli affari militari, impostata al realismo e del tutto contraria alle guerre infinite.
Colby è un amico di J. D. Vance e ha sponsorizzato pubblicamente la nomina di Hegseth a Capo del Pentagono, il quale lo ha poi chiamato a ricoprire la carica più importante quanto poco nota del Pentagono stesso: sottosegretario per la politica, in sintesi la persona che delinea la strategia generale delle forze armate Usa. Sostanzialmente a decidere sono Trump e Colby, Hegseth esegue.
Né Vance, né Colby, e quindi neanche Hegseth, sono colombe, ma stanno cercando di chiudere la guerra ucraina e sul Medio oriente non sono allineati a Israele come i neocon, cosa che gli ha attirato le ire di tali ambiti.
Per questo i neocon hanno tentato di far cadere Hegseth nel marzo scorso con lo scandalo Signal, facendo uscire la notizia che aveva tenuto un vertice sul bombardamento contro lo Yemen attraverso un social media non sicuro (Vance, nell’occasione, si era opposto alle bombe…).
Uno scandalo che ora è riemerso: un’indagine interna al Pentagono avrebbe concluso che nell’occasione Hegseth avrebbe messo a repentaglio la vita dei soldati americani. Così, alle accuse di aver ucciso a sangue freddo i venezuelani sopravvissuti all’attacco, si somma questa nuova accusa. Una tempesta perfetta che potrebbe costringere Trump ad abbandonarlo al suo destino.
Se ciò avvenisse, è più che probabile che sarebbe dimesso Colby, anche lui da tempo oggetto di critiche feroci da parte dei neocon. Sarebbe una doppia vittoria per tale ambito politico; e grazie a questa vittoria potrebbero spingere Trump a nominare al loro posto figure più consone ai loro desiderata.
Se così sarà, la guerra in Venezuela potrebbe non essere evitata, anzi; i nuovi venuti poi potrebbero spingere per proseguire la guerra ucraina (non sembra un caso che lo scandalo sia esploso subito dopo l’incontro tra Witkoff e Putin). Inoltre, potrebbero rinfocolare il confronto con Cina e Russia, attaccare l’Iran e tutte le altre diavolerie proprie dell’arsenale neocon. Insomma, chi spera che la tempesta scatenata contro Hegseth possa portare a una distensione con Caracas potrebbe rimanere deluso.
Non si tratta di difendere il Capo del Pentagono o meno, quanto di comprendere che la vera partita si gioca altrove e di sperare che Trump esca fuori dal tunnel oscuro nel quale si è (o l’hanno) ficcato ed eviti l’aggressione a Caracas.
Non è impossibile, stante che si registra qualche cenno distensivo in merito. Ieri, infatti, Caracas ha accolto alcuni concittadini espulsi dagli Stati Uniti in quanto immigrati illegali.
Inoltre, Nicolás Maduro ha parlato della telefonata avuta con Trump alla fine del mese scorso in termini decisamente diversi da quelli riportati dal Wall Street Journal, che aveva riferito di un ultimatum di Trump e del diniego dello stesso alla richiesta di Maduro di un’amnistia per lui e alti funzionari del suo Paese. Il presidente del Venezuela ha parlato di una telefonata “rispettosa” e “cordiale”. Tutt’altra cosa.
Né lui né Trump hanno rivelato i contenuti della conversazione. Resta che il presidente americano, parlandone, non ha usato toni duri nei confronti dell’interlocutore: “Non è andata né bene né male, è stata una telefonata”.
Di ieri l’appello di Papa Leone XIV affinché prevalga la diplomazia e la pace, aggiungendo che il Vaticano è in contatto col nunzio e i vescovi del Paese. “Stiamo cercando modi per calmare la situazione“, ha detto. Di aiuto.



