Usa - America Latina: da Pinochet a Maria Corina Machado
Tempo di lettura: 4 minutiIeri Trump ha convocato alla Casa Bianca i più alti funzionari della Sicurezza nazionale per un confronto sul Venezuela. La riunione sarebbe stata decisa allo scadere dell’ultimatum dato al presidente venezuelano Nicolás Maduro nella telefonata della scorsa settimana perché abbandonasse immediatamente il Paese.
La notizia dell’ultimatum è stato riportata dal Wall Street Journal insieme alla notizia del rigetto da parte dell’amministrazione Usa della richiesta di Maduro di un’amnistia per sé stesso e alti funzionari a lui collegati, sui quali pende il mandato di cattura Usa per traffico di droga.
Possibile che l’ultimatum sia veritiero, mentre l’ulteriore notizia potrebbe essere fallace, dal momento che se l’esilio di Maduro fosse in Russia o Cina, come molto probabile, non ha bisogno di amnistia. Potrebbe cioè essere una notizia per dare del presidente venezuelano un’immagine di fragilità, per indurre le élite del Paese ad abbandonarlo all’irrevocabile destino.
La nostra è solo un’ipotesi, ovviamente, ma si basa su due dati. Anzitutto su quanto avvenuto nei regime-change pregressi made in Usa, ad esempio la notizia di una fuga di Erdogan dalla Turchia durante il tentato golpe del 2016, data per certa praticamente da tutti i media d’Occidente e poi smentita dai fatti. Il secondo dato è che certe dinamiche tendono a reiterarsi, dal momento che ormai anche i regime-change hanno protocolli e dinamiche collaudate.
Infine, la constatazione che il WSJ sta spingendo per la guerra, come denota anche un articolo dal titolo: “Come le bande venezuelane e i jihadisti africani stanno inondando l’Europa di cocaina”. Vi si rivela che “il Venezuela è diventato un importante trampolino di lancio per enormi volumi di cocaina spediti verso l’Africa occidentale, dove i jihadisti stanno contribuendo a trafficarla in Europa in quantità record”.
Nel riferire tale “sfacciata” propaganda, la cui assurdità fa impallidire anche quella sulle “armi di distruzione di massa di Saddam”, Caitlin Johnstone, sul Ron Paul Institute, scrive che la nota non è altro che la declinazione di quanto dichiarato dal Capo del Dipartimento di Stato Marco Rubio il mese scorso che, difendendo l’affondamento delle imbarcazioni venezuelane, dichiarò che gli europei “dovrebbero ringraziarci” per aver colpito le navi perché parte di quella droga finisce in Europa.
Quando alla droga, motivo ufficiale dell’aggressione al Venezuela, oltre a ribadire che più che nei vicoli di Caracas Washington dovrebbe guardare in casa propria, diversi media americani hanno segnalato la bizzarria del presidente che, mentre martella Caracas sugli stupefacenti, ha concesso la grazia a Juan Orlando Hernández, ex presidente dell’Honduras condannato per narcotraffico negli States a 45 anni di carcere.
Hernández, come ricorda il New York Times, ha reso l’Honduras un narco-stato, un “baluardo del traffico mondiale di droga”, gestendo traffici che hanno “fruttato milioni ai cartelli e fatto dell’Honduras uno dei Paesi più poveri, violenti e corrotti dell’America Centrale”.
“Gli inquirenti hanno affermato che Hernández è stato un elemento chiave di un piano durato più di 20 anni e che ha portato negli Stati Uniti più di 500 tonnellate di cocaina”…
Al di là del particolare, resta che la superfetazione di questa propaganda d’accatto segnala che la pressione per un intervento armato contro Caracas sta aumentando. Tanto che un neocon di lunga data come Elliot Abrams ha criticato esplicitamente “l’ambiguità” di Trump, che temporeggia invece di passare all’azione.
Lo ha fatto in un ponderoso articolo per Foreign Affairs dal titolo esaustivo: “Come rovesciare Maduro”. Sottotitolo: “E perché il cambio di regime è l’unica via da seguire in Venezuela”.
Evidentemente Abrams rimpiange i bei tempi della controinsurgencia da lui gestita in America centrale e del Sud, quando attraverso torture e squadroni della morte i gringos hanno depredato le ricchezze del continente. E poi ha un conto personale da regolare con Maduro, non essendo riuscito a mettere a segno il suo agognato golpe durante il primo mandato di Trump.
La propaganda non è solo volta a delegittimare Maduro, ma anche a esaltare l’eroina del momento, la donna prescelta per prendere il suo posto, María Corina Machado, insignita di recente del premio Nobel per la pace, la quale ha promesso che, appena insediata, darà il via a una privatizzazione alzo zero che frutterà alle imprese americane ben “1.7 trilioni di dollari“.
Collegata a neocon americani e al Likud del genocida Netanyahu, in questi giorni la Machado è sponsorizzata a briglia sciolta dal Washington Post. Il 14 novembre pubblica l’articolo dal titolo: “Perché questo premio Nobel sostiene la strategia di Trump sul Venezuela“; il 18 novembre pubblica il “Manifesto della libertà“, scritto di suo pugno; nello stesso giorno come editoriale viene pubblicato un altro suo testo, “precursore della nuova Costituzione”, dal titolo: “Questa potrebbe essere la luce alla fine del tunnel del Venezuela“; il 21 novembre, stante la ritrosia dei cittadini Usa ad abbracciare questa guerra, sempre il WP pubblica una sua intervista nella quale rassicura, già dal titolo: “‘Questo non è un cambio di regime’: il messaggio di María Corina Machado agli americani” (stupenda la foto che l’accompagna, con la Machado in posa angelicata e mani giunte a mo’ di preghiera…).
La signora ha studiato in America, terminando il suo cursus honorum presso la Global Leadership Program della Yale University, che sforna leader per i paesi del Terzo Mondo obbedienti ai dettami di Washington. Si torna ai fasti dell’Escuela de las Americas, creata dagli States per sviluppare la cooperazione con l’America Latina, che sfornò figure come Pinochet e Videla, per restare ai più noti.
Quanto al collegamento della Machado col Likud, non sfugge che, proprio mentre sembra che si prepari il suo insediamento a Caracas, il presidente argentino Javier Milei, che a Tel Aviv è legato da vincoli indissolubili, si sia fatto promotore degli Accordi di Isacco – declinazione in salsa latinoamericana degli Accordi di Abramo – per sviluppare i legami tra il continente e Israele.




