27 Febbraio 2021

Washington Post: è ora di tassare i super ricchi

di Matteo Guenci
Washington Post: è ora di tassare i super ricchi
Tempo di lettura: 4 minuti

L’idea di tassare i super ricchi per aiutare le persone che la pandemia ha ridotto in povertà non è solo una mera chimera. Ne riferisce il Washington Post, con alcuni cenni a criticità inerenti (che non poteva non esporre dato che è il giornale dell’uomo più ricco del mondo).

La decrescita economica scatenata dalla crisi pandemica peggiora di giorno in giorno, alimentando la diseguaglianza sociale, annota il giornale. Proprio per questo l’idea di tassare le persone il cui patrimonio supera una certa soglia inizia a emergere qua e là.

Non è la prima volta che i governi del mondo si affidano a tale prassi. Durante il primo e il secondo dopoguerra, ricorda il WP, diverse nazioni europee e il Giappone hanno varato tasse dirette al ceto più facoltoso per permettere ai tanti di uscire dalla crisi.

La crisi e i super-ricchi

La diseguaglianza sociale, già tragica prima della pandemia, si è accresciuta con essa, dal momento che i ricchi non solo non hanno risentito della crisi, ma hanno addirittura incrementato i loro patrimoni (così l’Oxfam).

Così l’Argentina sta prendendo in seria considerazione la tassa sui ricchi, in particolare le persone con un patrimonio superiore ai 3.4 milioni di dollari, ma in tale direzione si stanno muovendo anche Bolivia e Marocco, anche se con altre modalità.

Inghilterra e Canada hanno intrapreso strade più moderate: la prima propone una tassazione “una tantum” sui ricchi, mentre il primo ministro Trudeau ha escluso questa ipotesi, ma ha consigliato al ministro delle Finanze di “trovare altri modi per tassare l’estrema disuguaglianza”.

Pur con altre direttive molti altri Paesi, tra cui Francia e Stati Uniti, cominciano a considerare questa idea.

Susana Ruiz, responsabile della politica fiscale di Oxfam, si è detta fiduciosa sul fatto che tale strada possa essere intrapresa anche da altre nazioni.

Ma non manca il contrasto. In Bolivia, ad esempio, il paese più povero del Sud America, questa tassa, che toccherebbe solo 152 persone portando benefici enormi a innumerevoli famiglie, ha attirato critiche feroci da parte della destra, che ha accusato il governo di demagogia.

Le problematiche relative a questa proposta non mancano, ed esulano anche dal dibattito politico. Il WP ricorda come, ad esempio, in Francia, nel 2018, a seguito di una tassa sui ricchi, molti di essi hanno abbandonato, almeno fiscalmente, il Paese. Un espediente diffuso in tale ceto, che peraltro dirotta spesso le proprie ricchezze nei paradisi fiscali.

Inoltre, un analista interpellato dal WP accenna a un’altra criticità, cioè la liquidità: Il patrimonio di ricchi e super-ricchi non è solo liquido, ma investito in azioni, aziende e altro.

In proposito il WP interpella Pascal Saint-Amans, direttore della politica fiscale presso l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che ha detto: “Puoi anche tassare Jeff Bezos per un miliardo di dollari, ma li avrà pronti in contanti? Cosa dovrebbe vendere per pagare? Tutto sta nella liquidità dei propri beni”. Ricordando che il WP è, appunto, di Bezos, la puntualizzazione assume un tono umoristico.

Ma anche il giornale ammette la possibilità. In Paesi come l’Argentina, dove il tasso di povertà è salito dal 35.4% al 40.9% in appena un anno, una tassa “una tantum”, che dovrebbe interessare appena 12.000 persone, farebbe incassare allo stato circa 3.5 miliardi di dollari.

“Stiamo parlando dello 0.02% della popolazione,” afferma Carlos Heller, membro della camera dei deputati di Buenos Aires, acceso sostenitore di questa tassazione, che incontra ovvie difficoltà. Ne accenna anche il WP, che spiega come questi poveri ricchi, essendo per lo più proprietari terrieri, potrebbero essere a corto della liquidità richiesta (sic).

Aprire almeno alla possibilità

Tassare i super-ricchi nel primo e secondo dopoguerra fu esercizio ovvio, perché la politica ancora aveva un ruolo e c’erano ancora forze politiche che non avevano paura di porre dei freni al capitalismo selvaggio.

Oggi, che il turbocapitalismo è trionfante e la politica residuo marginale, quel che un tempo era scontato appare bizzarro, tanto che per porre un tema tanto ovvio abbiamo dovuto riprendere un articolo del Washington Post, peraltro limitato e critico sul punto, ché sui media mainstream nostrani certi argomenti non si toccano, se non per sbaglio.

In Paesi dove la storia ha avuto esiti diversi, tale passo è stato compiuto da un pezzo. La Russia, ad esempio, già nel marzo scorso, a inizio pandemia, ha imposto tasse sugli oligarchi per tentare di porre ai disastri provocati dal Covid-19 (Sole 24Ore).

Di contro, affermare che il rischio di un esodo dei ricchi verso altri Paesi e la loro asserita mancanza di liquidità sia ostacolo insuperabile, tale da rendere impossibile solo pensare a tale possibilità, appare solo un modo per eludere la questione.

In una nota abbiamo ricordato che durante la pandemia 10 persone hanno avuto un guadagno netto di 540 miliardi di dollari, somma che basterebbe da sola a coprire per intero le spese per la vaccinazione contro il Covid-19 in tutto il mondo e a risollevare economicamente i ceti ridotti da questa in povertà.

Ma al di là delle utopie, e per restare sul piano di ciò che si può fare, è ovvio che la tassa sulla ricchezza, fosse anche una tantum, non può essere esclusa dal novero delle possibilità nel dibattito in corso per risanare ciò che la pandemia, e la speculazione su di essa, hanno distrutto.

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