10 Luglio 2025

Gaza: l'incontro segreto che potrebbe portare alla tregua

di Davide Malacaria
Gaza: l’incontro segreto che potrebbe portare alla tregua
Tempo di lettura: 5 minuti

Barak Ravid su Axios, sito americano ben informato e con solidi rapporti con l’intelligence israeliana, di cui di è quasi un’emanazione, ha riferito di una riunione riservata, tenuta in parallelo agli incontri tra Trump e Netanyahu alla Casa Bianca, nella quale sono stati fatti significativi passi avanti per raggiungere un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza.

All’incontro erano presenti Ron Dermer, il più stretto consigliere di Netanyahu, Steve Witkoff, l’uomo al quale Trump ha affidato la missione di sciogliere i nodi più intricati della politica estera, e un alto funzionario del Qatar, Paese che sta mediando tra Tel Aviv, Washington e Hamas, il quale ha riferito le richieste della milizia palestinese.

Il report di Axios è significativo non solo perché dà conto dell’apertura di una finestra reale di opportunità, ma anche perché dà la misura di quanto Trump stia spingendo per costringere Israele a deporre le armi.

D’altronde, tale pressione è evidente anche dalle modalità con cui si sta svolgendo la visita in America di Netanyahu che, più che una visita, ha tutto l’aspetto di una convocazione da parte del potente alleato per imporgli il rispetto dei patti.

Infatti, Trump ha salvato Israele da una sconfitta devastante nella guerra intrapresa contro l’Iran, trasformandola in un’apparente vittoria (ci torneremo), ma il patto segreto stipulato tra i due era che l’intervento americano doveva essere ripagato con il cessate il fuoco a Gaza (vedi Piccolenote).

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Chiaramente Netanyahu non aveva alcuna intenzione di rispettare gli accordi, così il presidente americano lo ha chiamato alla Casa Bianca per metterlo alle strette. Si spiega così la lunga permanenza del premier israeliano in America, come anche il fatto che, durante la visita, Trump lo abbia incontrato ben due volte, segno che il primo incontro non lo ha soddisfatto.

Così veniamo alla riunione riservata tra Witkoff, Dermer e l’autorevole funzionario del Qatar, nella quale sono stati trattati i dettagli del cessate il fuoco, che ovviamente non potevano essere materia di discussione tra i due leader, ai quali si addice la sola supervisione.

Il media americano, in sintonia con altri media internazionali, riferisce che la proposta di tregua stilata dai funzionari statunitensi aveva soddisfatto Hamas, che però aveva chiesto modifiche su quattro punti della stessa.

In particolare, Hamas ha chiesto che la distribuzione degli aiuti deve vedere coinvolti altri attori e non (solo) l’attuale Gaza Humanitarian Foundation; chiede solide garanzie che la tregua di 60 giorni porti a una pace duratura e il ritiro dell’esercito israeliano da Gaza. Axios non specifica l’ulteriore punto di divergenza e i report di altri media risultano contraddittori.

In realtà, in questa sede non è importante chiarire tale querelle, quel che serve sapere è che Witkoff, come ricorda Axios, all’inizio di questa settimana ha dichiarato che tre divergenze sono state appianate, restando in sospeso l’ultimo nodo, che verte sulle modalità del ritiro dell’esercito israeliano da Gaza.

A quanto pare, nella riunione segreta rivelata da Axios anche tale nodo è stato sciolto, o meglio si è iniziato a sciogliere perché poi Hamas deve accettare la nuova proposta (anche se il funzionario del Qatar era ben conscio delle richieste di Hamas sul punto e le avrà esposte con dovizia di particolari).

Interessante il resoconto di Axios, basato su due fonti presenti all’incontro: “Entrambe le fonti hanno affermato che Witkoff e il funzionario del Qatar hanno chiarito a Dermer che la mappa proposta da Israele, che prevede un ridispiegamento molto più ristretto di quello attuato dall’IDF durante il precedente cessate il fuoco, non è fattibile“.

“Il funzionario del Qatar ha affermato che è molto probabile che Hamas respinga la proposta e che i colloqui potrebbero addirittura fallire su questa questione […].  Witkoff ha detto a Dermer che una mappa di un ridispiegamento [dell’IDF] che assomigli a un ‘piano Smotrich’ [ministro delle Finanze e leader dell’ultradestra ndr.], prevedendo cioè l’occupazione israeliana di ampie zone della Striscia di Gaza, è inaccettabile per l’amministrazione Trump“.

Infatti, il governo israeliano aveva proposto un ritiro parziale, in cui era previsto che l’IDF conservasse il controllo, oltre che di altre aree, soprattutto del cosiddetto corridoio Morag, che corre in parallelo al corridoio Filadelfia, il quale si snoda al confine con l’Egitto.

I due corridoi, di fatto tagliano Rafah e le aree circostanti fuori dal resto della Striscia, isolandola. Ed è proprio in questa area che l’ultradestra israeliana ha proposto di creare una “città umanitaria” nella quale concentrare i palestinesi. Dove concentrare è verbo precipuo, dal momento che si tratta di un campo di concentramento dal quale i palestinesi non potranno uscire se non per trasferirsi in via definitiva in altri Paesi.

IDF Officials: Can't Plan 'Humanitarian City' in Gaza Amid Impending Deal

Come si nota, l’amministrazione Trump ha detto no al campo di concentramento e, come riferisce Axios, ha costretto Israele a presentare “una nuova mappa che prevede un ritiro più ampio delle IDF”.

A quanto pare, quindi, anche al di là del forse esagerato ottimismo di Witkoff e Trump, che ostentano sicurezza sul fatto che l’accordo si farà entro una o due settimane, le trattative iniziano ad avere una certa consistenza.

Resta il vero nodo gordiano della questione, cioè la garanzia che Israele non riprenda le ostilità dopo la tregua di 60 giorni. Sul punto, un titolo del Timesofisrael: “Gli Stati Uniti hanno dichiarato ai mediatori che non permetteranno a Israele di riprendere la guerra a Gaza”.

US said to tell mediators it won’t let Israel resume Gaza war, as optimism for deal swirls

Difficile che Hamas ottenga più di questo, a meno che in questi giorni Stati Uniti e Israele non abbiano siglato intese segrete che impongano a Tel Aviv il rispetto dei patti (ad esempio precludendo  gli aiuti americani a Tel Aviv in caso di inadempienza). Difficile immaginarlo, ma si può sempre sperare.

Ai palestinesi non resta che fidarsi dell’impegno statunitense e affidarsi al narcisismo di Trump, che potrebbe vedere l’eventuale disimpegno di Netanyahu come un vulnus alla sua immagine e al suo potere.

A margine, riportiamo che Netanyahu ha negato “con veemenza” che Trump stia esercitando pressioni su di lui per raggiungere il cessate il fuoco. Excusatio non petita accusatio manifesta

Netanyahu denies Trump pressure amid Doha hostage talks

 

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