20 Novembre 2017

La donna più potente del mondo getta la spugna

La donna più potente del mondo getta la spugna
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Angela Merkel deve gettare la spugna: a due mesi dalle elezioni non riesce a fare il governo con Csu, i bavaresi da sempre alleati dei suoi democristiani, i Verdi e i liberali. A mandare all’aria il tentativo sono stati proprio i liberali, che non hanno accettato le condizioni imposte dagli altri. La Merkel era definita la «donna più potente del mondo»; definizione che, ora per allora, appare in tutta la sua sciocchezza.

Infatti, non è vero oggi come non era vero ieri: la non lungimirante Merkel era una banale griffe, un marchio giustapposto al patto internazionale che in questi anni ha garantito la stabile crescita della Germania a scapito degli altri Paesi Ue.

E la sua altrettanto stabile inutilità geopolitica globale, stante che l’egemonia tedesca sulla Ue ha trasformato in prospettiva europea e in proiezione globale della stessa Ue l’assioma identificativo della Germania del dopoguerra: gigante economico-nano politico.

Tale equilibrio a quanto pare è saltato. Perché una nuova vittoria del marchio Merkel avrebbe potuto determinare un cambiamento di assioma e, attraverso una riforma, creare le premesse per un cambiamento di prospettiva, interna e globale, in sede Ue e globale.

Semplicemente non si poteva fare: gli ambiti che hanno sostenuto con entusiasmo il marchio Merkel in questi anni l’hanno abbandonata al suo destino, e la cosiddetta “donna più potente del mondo” si è scoperta per quel che è.

Ovvero una leader politica banale, senza lungimiranza e senza capacità inclusive, cioè incapace di creare un compromesso tra forze divergenti, quelle uscite vittoriose dalle urne. Un’iniziativa che avrebbe dato alla Germania un nuovo e diverso governo e aperto il Paese e la Ue a nuove e diverse prospettive.

Non si capisce come si uscirà da questa situazione: se cioè la drammatizzazione della crisi aprirà le porte a una nuova Grosse Koalition, stavolta con la Spd come stampella esterna. Un’astensione costruttiva atta a garantire governabilità ma che eviti l’emorragia di voti socialdemocratici, che alle urne hanno pagato caro la loro consegna ai poteri forti avvenuta nel passato governo.

Pare che tale strada sia impervia, stante l’attuale niet dei leader Spd. Ma ad oggi un governo di minoranza appare l’unica strada, a meno di non immaginare un ritorno alle urne, alquanto pericoloso stante il pregresso della Repubblica di Weimar.

Detto questo, la crisi tedesca, per l’indebito processo che ha portato alla sua egemonia in sede Ue, è purtroppo necessariamente una crisi della stessa Unione.

Da qui la necessità di una stabilizzazione anche, del caso, artificiale (magari solo per garantire una transizione morbida verso nuovi equilibri), che eviti contraccolpi in ambito europeo. Una follia di sistema, ovvio, ma è così. Vedremo come si uscirà da questo tunnel e come tale crisi influirà sulla Ue.

Ad esempio, occorrerà vedere come tale vicenda influirà su un particolare che riguarda l’Italia: grandi fondi di investimento hanno scommesso sul collasso delle banche italiane.

Una scommessa che potrebbe essere favorita dagli attacchi che in questi giorni ha subito Mario Draghi, più o meno sotterranei, il cui ruolo nella Bce dà certe garanzie al sistema Italia. La crisi tedesca potrebbe offrire ulteriori chanches di vittoria agli scommettitori. Si spera non accada.

 

 

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