13 Novembre 2013

Claude Monet Ninfee, 1908

Claude Monet Ninfee, 1908
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Sono in corso due mostre che vedono Claude Monet  come protagonista: una a Verona e un’altra a Pavia. Una  coincidenza che la dice lunga sulla popolarità e la carica attrattiva di questo grande artista. Monet è colui a cui si deve il termine impressionismo, per via di quella sua famosa tela, Impression au soleil levant, esposta nel  1874 alla prima leggendaria mostra del gruppo. Quindi dovrebbe essere artista a cui la definizione “impressionista” calza alla perfezione. Con impressionista in genere si  intende pittura felice, facile, senza nessuna sovrastruttura  concettuale. Monet, se le cose stanno così, non è in realtà un impressionista. La sua è infatti una pittura molto voluta, pensata anche nella velocità e istintività dell’esecuzione.

Non so neanche se sia pittura felice, nel senso di pittura “senza problemi”, perché c’è sempre un qualcosa di ansioso nelle sue tele, una tensione verso un punto inseguito nel disporsi del colore come pulviscolo luminoso. Com’è ben noto, negli ultimi anni della sua vita Monet si ritirò nella sua tenuta di Giverny, a nord di Parigi, dove aveva fatto realizzare un grande giardino all’orientale, con il celebre stagno delle ninfee al centro.

Alla mostra di Verona ad esempio è arrivata questa  Ninfea, datata 1908. Se la esaminiamo, si può scoprire che un’immagine così semplice e immediata invece nasconde una imprevista e affascinante complessità. Si nota anzitutto come Monet cerchi questa costruzione in verticale, che tende l’immagine verso un punto alto, verso un vertice. In realtà sappiamo che questa immagine è sotto di noi, quindi la pittura non dovrebbe emergere, semmai immergersi. Invece emerge, perché la traiettoria di Monet, traiettoria voluta e cercata, è di governare la tela senza mai darne la minima sensazione e senza  contraddire quel senso di libertà anche caotica propria della natura vegetale. Anche i giardini di Giverny erano infatti “governati” da mani esperte; e i quadri meravigliosi che per anni Monet ne ricava seguono la stessa logica.

Naturalmente la composizione deve sottostare a una  condizione: i confini della tela sono una convenzione che va dimenticata, tanto che il flusso delle immagini dà sempre la sensazione di continuare ben oltre quel perimetro. Sono quadri potenzialmente senza margini  quelli di Monet: per questo una Ninfea ne chiama un’altra in un continuum che porta la pittura quanto mai lontana dal rito impressionista. Le Ninfee sono frammenti di un infinito che prorompe oltre l’orizzonte della tela. È pittura che come il vento non può essere contenuta da nulla e che, per questo, come il vento ci fa respirare.

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