7 Luglio 2020

Deposizione di Cristo, Duomo di Volterra

di Giuseppe Frangi
Deposizione di Cristo, Duomo di Volterra
Tempo di lettura: 2 minuti

La Deposizione di Cristo custodita nel Duomo di Volterra è doppiamente preziosa: per la sua bellezza e per il fatto di essere l’esemplare più integro arrivato fino a noi della lunga serie di croci duecentesche.

Proprio l’integrità è l’aspetto che colpisce immediatamente: caso unico, infatti, è stata conservata anche la cromia originaria, ottenuta in particolare con largo uso della foglia d’oro e d’argento. Il resto è dipinto a tempera, con una pienezza di colori quasi spiazzante.

Altro aspetto emozionante di questo gruppo è il fatto che anche la croce, la scala utilizzata da Giuseppe di Arimatea e persino la tenaglia con cui Nicodemo estrae i chiodi dal legno sono ancora tutti elementi originari. 

Per farsi un’idea piena di questo capolavoro possiamo aggiungere che le figure sono quasi a grandezza naturale e che anche la loro disposizione rispecchia quella immaginata dall’anonimo artista che intorno al 1230 intagliò questo gruppo.

La composizione si regge su un equilibrio attentamente simmetrico: due figure agli estremi che svolgono una funzione simile, quella di reggere le braccia di Cristo; due figure al centro che disegnano un arco attorno al corpo del Crocifisso.

In realtà si resta incerti sulla reale dinamica dei gesti. Maria, che a sinistra allunga le sue mani verso quelle di Gesù che sta per essere calato dalla Croce, sembra piuttosto protendersi per accarezzarle: non c’è fatica, non c’è peso.

Si avverte solo la dinamica di questo slancio affettivo. Dall’altra, Giovanni, che con la sinistra regge il Vangelo, con la destra si avvicina quasi con pudore al braccio di Cristo: lo sfiora appena con un gesto adorante. Nicodemo si è arrampicato sulla scala rossa, evidentemente per sostenere il corpo liberato dai chiodi: in realtà anche lui si inchina come nel desiderio istintivo di un abbraccio.

Tutti in questa Deposizione sono chiamati a un “fare”, ma tutti si trovano sospesi nella loro azione. Così la genialità dell’artista senza nome che ha realizzato questo capolavoro finisce con il ribaltare la situazione: le figure non reggono Cristo, ma sono “rette” da Cristo.

Le braccia del Signore si allargano in un gesto protettivo, che comprende tutti gli astanti. Anche il suo volto, difficile da cogliere nella foto d’assieme, è pieno di dolcezza; gli occhi chiusi non hanno affatto il rigore della morte ma esprimono la profondità di una richiesta di comprensione al Padre.

“Figlio bianco e biondo, / figlio volto iocondo”, cantava in quegli stessi anni Jacopone. Così vien da pensare che questi colori così clamorosi abbiano la funzione paradossale di dirci che quello a cui stiamo assistendo è un atto tragico, ma insieme anche una festa: la festa di un Dio che fa per noi.

 

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