1 Dicembre 2015

El Greco, Adorazione dei pastori

El Greco, Adorazione dei pastori
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Nel 1567 arrivò a Venezia un artista che era nato a Candia, nell’isola di Creta. Era un vero talento, cresciuto in una cultura figurativa “greca”, e che quella cultura sentiva troppo “stretta” per se stesso. Creta era in ambito ortodosso dove dominava il modello figurativo dell’icona, anche se sull’isola c’era un’utenza cattolica che chiedeva timidamente che ci si smuovesse dalla rigidità di quei prototipi.

 

Domenico Theotocopulos, questo il nome del pittore, prima cercò di assecondare questa spinta ad una maggiore libertà rappresentativa, poi decise di fare il balzo verso la laguna (Creta era allora sotto Venezia). Una volta arrivato trovò un mondo lontano anni luce da quello di provenienza. A Venezia dominava Tiziano, l’artista libero per antonomasia; anzi, artista che ha spalancato a tutti gli altri artisti orizzonti impressionanti di libertà. Il nostro si accasò nel suo atelier, e da allora verrà sempre chiamato El Greco.

 

 

È in corso in queste settimane una mostra a Treviso che raccoglie quasi tutte le opere superstiti realizzate da El Greco in quei cruciali anni veneziani. Opere che vedono lo sbocciare vorticoso e libero di un gigante, che si relaziona con un mondo, quello di Venezia, che comunque resta molto diverso da lui, e che da quel mondo prende per diventare lui stesso profondamente libero.

 

El Greco è un pittore di visioni, di illuminazioni fulminanti, anche di invenzioni iconografiche. Tra i quadri presenti in mostra (lavora su misure piccole, perché anche a Venezia continua ad avere probabilmente una clientela cretese, che chiedeva altaroli da casa) c’è una stupenda Adorazione dei Pastori, custodita al J.F. Willumsens Museum, in Danimarca.

 

È un quadro normale dal punto di vista delle soluzioni, ambientato in un paesaggio con delle rovine come avveniva in tanta pittura italiana del tempo (El Greco era andato anche a Roma, quando papa era Paolo V). Nella piccola tela l’artista sprigiona tutta l’energia di cui è dotato, con una concitazione di luci e di movimenti  che raccontano tutto lo stupore di quel momento. La pennellata è veloce, a volte anche sommaria in quanto non insiste sui dettagli.

 

Ma c’è un punto di quest’opera che è indimenticabile: ed è la figura del pastore in primo piano, inginocchiato in modo un po’ goffo, tanto da dover mettere la mano per terra per non sbilanciarsi troppo. Se si osserva il suo volto si capisce la ragione di questa goffaggine: lo sguardo dell’uomo è totalmente attratto – rapito – nella sua semplicità, dalla presenza del Bambino, che El Greco dipinge piccolissimo nella mangiatoia, circondato dal bianco abbagliante di un lenzuolo.

 

L’intensità di quello sguardo è istintiva, naturale, per nulla “voluta”. Si potrebbe dire che è uno sguardo tutto pieno di quel che sta guardando. Non è sguardo dettato da un programma iconografico, ma è esperienza non prevista e accaduta. Per questo El Greco aveva bisogno della libertà di Venezia.

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