13 Luglio 2017

Picasso, Due donne che corrono sulla spiaggia

Picasso, Due donne che corrono sulla spiaggia
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Picasso 1922. Sono gli anni del grande amore per Olga Khochlova, la ballerina russa dei balletti di Segej Djagilev che aveva sposato nel 1918 in una chiesa russo ortodossa di Parigi. A febbraio del 1921 Olga gli aveva anche dato un figlio, Paulo.

Per Picasso è una stagione di prepotente felicità, in cui riesce a liberarsi dal rischio di estenuazione formale a cui il cubismo avrebbe potuto portarlo. È un Picasso libero, che respira a pieni polmoni il calore del Mediterraneo quello che attraversa gli anni ’20 proprio come queste sue due gigantesse.

In realtà questo quadro venne dipinto come molti altri con soggetti simili durante una delle estati che Picasso aveva passato con Olga e il figlio a Dinard, al nord della Francia. Lo dipinse come bozzetto di quello che sarebbe diventato lo scenario di un nuovo balletto di Djaghilev, andato in scena nel 1914, “Le train bleu”.

Picasso amava andare sulla spiaggia di Saint-Enogat o de l’Escluse. Chi era con lui lo vedeva disegnare i bozzetti delle sue opere direttamente sulla sabbia, con una velocità e una facilità che impressionava. Poi vento e mare cancellavano quei disegni tracciati nel bagnasciuga. E la prolificità di Picasso si riversava sulle tele.

Questo quadro (di piccolo formato a dispetto dell’apparenza e del gigantismo delle figure) è così un quadro emblematico di tutta questa stagione. Trasmette energia vitale, senso di libertà, strabordante felicità. È un Picasso in cui il rapporto tra l’uomo (o meglio la donna…) e il mondo è un rapporto sciolto da problematicità.

Un rapporto senza riserve. La spiaggia diventa così una sorta di Eden non mentale, non auspicato, ma fisicamente sperimentato: le sue due “gigantesse” sembrano bersi tutto il cielo e mangiare la terra nella loro corsa travolgente. Infatti l’aspetto meraviglioso di questo quadro è in quel senso di innocenza che si declina, in modo sorprendente, come prova di potenza.

Per Picasso l’innocenza non è un arretramento ma un avanzamento; è una forza che conquista. È la meraviglia dello sguardo bambino, che si appassiona di tutto. È un modo non di difendersi dal mondo, ma al contrario di prenderne possesso: «Il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro!».

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