4 Maggio 2013

I limoni

Tempo di lettura: 2 minuti

Ascoltami, i poeti laureati

si muovono soltanto fra le piante

dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.

Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi

fossi dove in pozzanghere

mezzo seccate agguantano i ragazzi

qualche sparuta anguilla:

le viuzze che seguono i ciglioni,

discendono tra i ciuffi delle canne

e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

 

Meglio se le gazzarre degli uccelli

si spengono inghiottite dall’azzurro:

più chiaro si ascolta il susurro

dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,

e i sensi di quest’odore

che non sa staccarsi da terra

e piove in petto una dolcezza inquieta.

Qui delle divertite passioni

per miracolo tace la guerra,

qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza

ed è l’odore dei limoni.

 

Vedi, in questi silenzi in cui le cose

s’abbandonano e sembrano vicine

a tradire il loro ultimo segreto,

talora ci si aspetta

di scoprire uno sbaglio di Natura,

il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,

il filo da disbrogliare che finalmente ci metta

nel mezzo di una verità

Lo sguardo fruga d’intorno,

la mente indaga accorda disunisce

nel profumo che dilaga

quando il giorno più languisce.

Sono i silenzi in cui si vede

in ogni ombra umana che si allontana

qualche disturbata Divinità

 

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo

nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra

soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.

La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta

il tedio dell’inverno sulle case,

la luce si fa avara – amara l’anima.

Quando un giorno da un malchiuso portone

tra gli alberi di una corte

ci si mostrano i gialli dei limoni;

e il gelo del cuore si sfa,

e in petto ci scrosciano

le loro canzoni

le trombe d’oro della solarità.

 

Eugenio Montale

In questa poesia di Montale si ritrova gran parte degli elementi – stilistici, psicologici e “ideologici” – che caratterizzano la raccolta di cui fa parte, gli Ossi di seppia (prima edizione del 1925 e seconda, quasi definitiva, del 1928): la ricerca di un linguaggio dimesso, «scabro ed essenziale» (in fuga sia dalle radicali rotture delle avanguardie sia dalle tonalità eroiche ed enfatiche dei «poeti laureati») che aderisca vividamente alle evidenze del mondo esterno (in maniera «musicale, istintiva, non programmatica» ebbe a dire lui stesso); la ricerca di un destinatario, di un “tu” cui partecipare i propri sentimenti («Ascoltami», «Vedi…»); il “male di vivere” che domina le «città rumorose», che incrudelisce nel «tedio dell’inverno», che fa la luce «avara – amara l’anima».

Cè tutto questo, ma ci sono soprattutto loro, i limoni. In questi mesi di primavera li vediamo gravidi di frutti maturi nei nostri quartieri. Brillano attraverso le ringhiere dei cortili, si affacciano ridendo da oltre i muri di cinta di qualche edificio. E la loro solare allegria tornerà a raggiare anche in inverno, quando tutto pare perduto, quando è evidente che il ricordo della trascorsa primavera sbiadisce e non procura più alcun conforto.

Benedetti limoni di città, che da un malchiuso portone ci sorprendono suggerendoci il sempre possibile miracolo.

 

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