17 Aprile 2019

Al Sisi sfila l'Egitto dalla Nato araba

Al Sisi sfila l'Egitto dalla Nato araba
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Il Parlamento egiziano decide di prolungare il mandato del presidente fino al 2030. Di fatto un mandato a vita per al Sisi. Il Cairo ha così il suo nuovo faraone, al quale ha affidato il destino del Paese.

Uno sviluppo che segue la decisione improvvisa e imprevista di al Sisi di abbandonare la cosiddetta Nato araba, da tempo inseguita dall’amministrazione Usa per creare un fronte unitario anti-iraniano.

La Mesa (Middle east strategic alliance) dovrebbe essere guidata dall’Arabia Saudita, in stretto contatto con gli Emirati Arabi Uniti, e prevede la partecipazione di un ampio fronte di Paesi sunniti (eccetto il Qatar, legato alla Turchia), anche se finora non ha raccolto la partecipazione entusiastica sperata.

La defezione dell’Egitto è un colpo ferale per la Mesa, data la sua influenza regionale e la forza del suo apparato militare.

Erdogan

Al Sisi si sfila, prendendo le distanze da Washington, anche se con la prudenza del caso. Sembra seguire, in forme più attenuate, l’esempio turco, dove Erdogan si è ritagliato un ruolo da sultano e, insieme, una nuova libertà di manovra nello scacchiere geopolitico globale a scapito del rapporto con Washington.

Classico esempio di una convergenza tra opposti, dato che i due capi di Stato non potrebbero essere più distanti, stante che al Sisi considera suoi nemici irriducibili i Fratelli musulmani, che invece sostengono Erdogan.

Divergenze peraltro evidenti in Libia, con Erdogan schierato, insieme al Qatar, con al-Sarraj e al Sisi con Haftar.

Ma è alquanto evidente che al Sisi non intende legarsi mani e piedi a Washington attraverso la Mesa, alleanza che, come la Nato, rischia di essere irrevocabile. L’adesione lo priverebbe dell’attuale libertà di manovra, che rende l’Egitto una nuova variabile del complesso rebus mediorientale.

Peraltro la Mesa, come rivela un documento segreto della Casa Bianca reso noto dalla Reuters, non ha il solo scopo di contenere Teheran, ma anche, come d’altronde ovvio, ostacolare l’influenza russa e cinese nella regione.

Il Faraone teme così di dover rinunciare a rapporti che possono essergli invece più che utili, sia in chiave interna sia internazionale.

La crociata anti-Iran, così strategica agli occhi dei neoconservatori e di Netanyahu (pronto a rilanciarla dopo il fresco successo elettorale), perde un pezzo importante.

E ciò mentre emergono nuove criticità tra Usa e Iran: all’inserimento delle Guardie rivoluzionarie iraniane nella blacklist del terrorismo, Teheran ha risposto dichiarando a sua volta apparato terrorista il Centcom, il Centro di comando delle forze armate americane (Fars agency).

Schermaglie, ovvio, ma di schermaglie in schermaglie le cose si aggrovigliano sempre più, tanto che sarà difficile sbrogliare la matassa. Più grande è il caos, più aumenta la conflittualità, col rischio che diventi ingestibile. Al Sisi se ne è chiamato fuori e ha chiamato fuori il suo Paese.

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