30 Dicembre 2020

Biden e l'inverno buio

Biden e l'inverno buio
Tempo di lettura: 4 minuti

“Sarà un inverno buio”, ha detto Joe Biden. Lo ha detto a novembre, lo ha ribadito a dicembre. Sa cose che noi non sappiamo. Biden è un gaffeur, certo, ma spesso sembra usare di tale fragilità per dire ciò non si può.

Così è stato quando ha dichiarato che i democratici stavano allestendo la più grande truffa elettorale della storia, così anche ieri quando si è riferita alla sua vice-presidente Kamala Harris come “presidente eletto”.

Il presidente non eletto

In realtà la Harris non l’ha eletta nessuno, dato che ha provato invano a vincere la nomination per la candidatura democratica. Non eletta, cooptata, con Biden costretto a cedere alle pressioni dei liberal-clintoniani del suo partito e dei media perché la nominasse vice.

Una vice che conterà sempre più, come abbiamo scritto in note pregresse, nelle quali ipotizzavamo future dimissioni del presidente in suo favore. Così che l’America non avrà un presidente eletto, in barba alle dinamiche fondamentali della democrazia, ma scelto dalle élite.

Ironia della sorte, gli Usa stanno facendo esattamente quel che rimproverano ad altri Paesi..

Ma al di là della facile constatazione sull’autoritarismo di cui è preda l’impero, resta da capire se il passaggio delle consegne tra presidente e vice sia nelle dinamiche delle cose, data l’età di Biden, o sia frutto di un compromesso tra questi e i liberal-neocon.

Biden: la rinuncia del passato

Un’ipotesi, quella del compromesso, che potrebbe apparire indebita, ma che non lo è se si ripercorre il passato. Verso la fine del regno di Obama iniziò a prendere forma la candidatura del suo vice, Biden, alla successione.

Candidatura forte, dato che Obama, al di là del giudizio che si può avere, godeva di un vasto consenso tra i cittadini Usa. La candidatura di Biden era quindi nelle cose, potendo egli godere della luce riflessa e vincere le elezioni, perse dalla Clinton perché, tra le altre cose, suscitava vaste avversità nella sinistra del suo partito.

Ma proprio quando avrebbe dovuto fare il grande passo, Biden rinunciò in favore dell’ex Segretario di Stato. Allora si parlò di età avanzata e stanchezza, tanto che egli aggiunse che non sarebbe “mai” diventato presidente.

Una spiegazione smentita da quando avvenuto di seguito, avendo egli intrapreso tale cammino in età ancor più avanzata e senza alcuna ragione di “partito”, dato che c’erano altri e altrettanto agguerriti pretendenti.

Così ci sembra ancor più ragionevole la spiegazione che abbiamo dato in tempi non sospetti. Al tempo spiegammo che la rinuncia di Biden coincideva temporalmente con la sigla dell’accordo sul nucleare iraniano da parte di Obama.

Un accordo che doveva essere ratificato dal Congresso Usa, con ratifica praticamente impossibile data l’avversione dei repubblicani e dell’ambito dei democratici liberal che facevano riferimento alla Clinton.

Da qui la tacita intesa di Obama, che aveva offerto il partito, e quindi assicurato la candidatura, alla Clinton, in cambio del suo appoggio alla storica intesa. Corollario del patto era, appunto, la rinuncia di Biden alla candidatura (vedi Piccolenote).

…E quella del futuro?

Così potrebbe ripetersi quanto già avvenne allora, con Biden non più vice, ma presidente, che potrebbe aver pattuito un compromesso con i suoi antagonisti interni che hanno portato sugli scudi la Harris: l’appoggio sull’accordo nucleare iraniano in cambio delle sue dimissioni a intesa raggiunta.

Con altro corollario stavolta, cioè la fine della guerra dell’Afghanistan, dalla quale sta smobilitando Trump grazie al nuovo ministro della Difesa, avendo ottenuto il tacito consenso del team di Biden (vedi Piccolenote).

Biden avrebbe così tolto dal gioco geopolitico la criticità più a rischio escalation globale, quella iraniana, e posto una fine simbolica alle guerre infinite chiudendo la prima di esse, cioè quella in Afghanistan, dopo di ché, onusto di gloria, se ne andrebbe in pensione, lasciando alla Harris, cioè a liberal e neocon, campo aperto per gestire lo scontro più alto, quello che vede gli Usa contrapposti a Cina e Russia.

Criticità, queste ultime, a rischio ma con meno probabilità di sfociare in scontro aperto, a motivo delle testate atomiche di Pechino e Mosca.

E però, il fatto che l’Impero torni nelle mani dei neocon non può non preoccupare quanti li hanno visti all’opera in questi decenni bui di bombardamenti e rivoluzioni colorate, con corollario inevitabile di Terrore globale.

Peraltro sulle intese con neocon e liberal grava la possibilità di un voltafaccia, data l’ambiguità intrinseca di tali ambiti.

Gli auguri di Putin

Vedremo. Intanto a Biden sono pervenuti gli auguri di buon anno di Putin. Iniziativa inusuale, dato che aveva già fatto le congratulazioni al presidente eletto, chiedendo una revisione dei rapporti con Mosca, come peraltro ribadito in questo messaggio, e inviato finanche gli auguri di Buon Natale (estesi a Trump).

Certo, è normale che la Russia speri che la Guerra Fredda perda mordente, ma due messaggi di tal segno in così rapida successione fanno pensare anche ad altro, come se lo zar sia consapevole della fragilità del suo omologo Usa (presidente, si può dire, per caso) e voglia rafforzarlo nella sua posizione.

Di certo c’era anche da correggere il tiro dell’augurio di Buon Natale ad ambedue i presidenti, entrante e uscente, certo non gradito agli ambiti che attorniano Biden, per i quali Trump è solo un morto che cammina, destino che si spera gli sia evitato.

 

 

Mondo
22 Luglio 2024
Ucraina: il realismo di Haass