Sale la tensione Cina-Usa e quella globale Oriente-Occidente
Tempo di lettura: 3 minutiNon solo la guerra commerciale Cina-Stati Uniti e tra questi ultimi e l’Iran, negli ultimi giorni si registra un acuirsi del confronto Oriente-Occidente, che in precedenza aveva conosciuto momenti di distensione.
In una conferenza stampa odierna, Trump ha affermato che un accordo con la Cina è arduo. Dunque aria di guerra totale con Pechino. Un crescendo iniziato da quando Trump ha accusato il Dragone di essere un “manipolatore di valuta”, dichiarazione che oltre alla guerra commerciale rischia di innescare una guerra valutaria, già immaginata oltreoceano e per ora congelata.
La mossa è rischiosa per tutti, dato l’ampio margine di ingestibilità, che potrebbe precipitare il mondo intero nel baratro.
Armi a Taiwan e bombe nucleari
Il confronto serrato con Pechino non registra aperture. Non solo la minaccia di nuovi dazi per miliardi di dollari, annunciati a suo tempo da Trump e sempre più incombenti, ma anche le tante azioni assertive degli Usa in Asia.
Washington, infatti, ha fornito due miliardi di armi a Taiwan, rompendo di fatto il tacito patto che la vedeva protettrice dell’isola ma nel rispetto della dottrina definita “Una Cina”, che riconosceva comunque un legame, da definirsi, tra questa e il governo continentale.
In aggiunta, la politica di contenimento della Cina si è arricchita del recente annuncio su un prossimo dispiegamento di testate nucleari in Asia, risuonato come allarme rosso a Pechino.
Hong Kong
Infine, c’è il nodo Hong Kong, dove continuano le manifestazioni in quella che ha tutti i tratti di una rivoluzione eterodiretta. La proteste contro l’introduzione di una legge che consentiva l’estradizione in Cina hanno imboccato una deriva secessionista.
Sul South China Morning Post gli ultimi sviluppi, che hanno visto i media locali rivelare gli incontri tra l’ambasciatore americano a Hong Kong e i leader della protesta.
Pubblicazione criticata aspramente da Washington, che ha definito Pechino un “regime criminale” per la diffusione dei dati personali del diplomatico e dei suoi figli (in effetti, i figli dovrebbero essere preservati da certe cattiverie).
Gli Usa hanno peraltro definito l’incontro una prassi usuale dei diplomatici Usa, legittimati a intrattenersi sia con rappresentati dei governi che con i loro oppositori.
Pechino ha replicato con durezza, negando la connessione con i media locali e criticando l’iniziativa del diplomatico Usa a Hong Kong, evidente ingerenza nelle proteste.
Ma ha anche criticato la giustificazione della prassi di cui sopra, che vede quindi gli Stati Uniti legittimare la loro connessione con movimenti eversivi di Paesi terzi. Metodologie “da gangster”, per i cinesi.
I distinguo di Trump
Nel raccontare la controversia, il South China Morning Post sottolinea come Trump abbia di recente parlato delle proteste prendendone le distanze: “Perché Hong Kong fa parte della Cina” e “spetta a Pechino risolvere la situazione”.
Dichiarazione in contrasto con l’idea dei falchi – americani e britannici -, per i quali l’accordo anglo-cinese del 1997 conferirebbe invece alla Gran Bretagna e alla comunità internazionale responsabilità di vigilanza/ingerenza, con possibilità di denunciarne asserite violazioni da parte di Pechino (con eventuale revoca).
Il giornale di Hong Kong ricorda inoltre come Trump abbia definito “rivoltosi” i manifestanti, “termine più vicino alla retorica di Pechino” che alla terminologia propria “degli altri membri della sua amministrazione”.
La Cina, Trump e la variabile Iran
Insomma, Trump sembra doversi districare tra spinte e controspinte, ma appare anche prigioniero di una sua idea di dialogo, dati i rischi connessi alla necessità di procedere attraverso la “massima pressione” per massimizzare i guadagni.
Un metodo che affatica il rapporto con Pechino sia direttamente sia indirettamente. Infatti, va considerato che la Cina continua a comprare petrolio iraniano, sfidando le sanzioni Usa ed erodendo la “massima pressione” da questi esercitata contro Teheran.
Così la crisi iraniana si innesca in questo confronto come variabile esoterica, rendendolo ancora più acceso e imprevedibile.
La Russia e la lettera di Kim
Non solo la Cina, anche la Russia appare sotto pressione, a causa di manifestazioni di piazza di anomala dimensione, anche qui con seguito di accuse contro le ingerenze Usa.
Manifestazioni accompagnate da una serie di misteriosi incidenti all’apparato militare russo: alle esplosioni a catena in un deposito di armi (1) sono seguite quelle in una base di sottomarini nucleari. Anche la Russia, come la Cina, sta frenando la spinta per una guerra in Iran. Forse porta sfortuna.
Nella contesa globale, uno spiraglio: Trump ha annunciato di aver ricevuto “una bellissima” lettera da Kim Jong-un…
Ha tutta l’aria di un regalo di Pechino, che usa la Corea del Nord per blandire il suo interlocutore, il quale tiene moltissimo a un accordo con Kim in vista delle presidenziali. Non basterà a placare la tempesta, ma conforta tacite speranze.
(1) Oggi, allo stesso deposito, nuove esplosioni, altri nove feriti dopo gli otto morti precedenti.