29 Settembre 2025

Gaza: qualcosa si muove per il cessate il fuoco

di Davide Malacaria
Gaza: qualcosa si muove per il cessate il fuoco
Tempo di lettura: 3 minuti

Tutti i media israeliani parlano di una possibilità reale per raggiungere al cessate il fuoco a Gaza. Decisivo l’incontro tra Netanyahu e Trump di oggi, ma il preludio al faccia a faccia tra i due leader, che ha visto Netanyahu confrontarsi con Steve Witkoff, l’inviato Usa per il Medio oriente, e Jared Kushner (il genero di Trump che non ha nessun titolo per negoziare, ma sta ovunque), sembra sia andato bene.

Per parte sua Trump da alcuni giorni ripete il suo mantra votato all’ottimismo, che alla fine si ha sintetizzato così: “sono tutti sono a bordo“. Dove quel “tutti” dovrebbe ricomprendere anche Netanyahu.

Non sappiamo se sia vero né, se vero, cosa abbia fatto cambiare idea a Netanyahu, anche se si possono enumerare molteplici fattori, anzitutto il fatto che, con l’occupazione di Gaza City, cioè dell’ultimo lembo della Striscia, ha una finestra di opportunità per dichiarare di aver vinto la guerra.

Potrebbe cioè dichiarare di aver liberato gli ostaggi, cosa che otterrebbe con quella tregua che finora ha sabotato, e di aver sconfitto Hamas, avendo espugnato l’ultima roccaforte-rifugio della milizia (così nella sua retorica).

Annuncio di vittoria che ora potrebbe apparire credibile agli occhi dei suoi fan, ricacciando le accuse di aver cacciato l’IDF in un pantano inestricabile, critiche che incrementerebbero se, dopo aver occupato l’intera Striscia, proseguiressero gli attacchi di Hamas, che nonostante tutto continuano e ogni giorno infliggono danni all’esercito israeliano (per quanto siano pochi, segnalano che la milizia ha ancora capacità operative).

Ma al di là dei fattori che potrebbero facilitare questa svolta positiva per la popolazione di Gaza, quel che ci sembra necessario segnalare è che, a quanto pare, l’ipotesi di addivenire a un cessate il fuoco sembra aver incontrato anche il favore degli ultraortodossi messianici, o almeno di uno dei suoi più importanti leader politici, Bezalel Smotrich.

Così l’incpit del Timesofisrael del 17 settembre: “Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha affermato che la Striscia di Gaza è una ‘miniera d’oro immobiliare’ e che è in trattative con gli americani su come dividere l’enclave costiera dopo la guerra”.

“A Gaza c’è ‘una bonanza [miniera ricca di metalli preziosi ndr] immobiliare’ che ‘si ripaga da sola’, aggiungendo che lui ha ‘già avviato i negoziati con gli americani’ […] ‘Abbiamo investito molti soldi in questa guerra. Dobbiamo vedere come distribuiremo il terreno in percentuale’, ha affermato Smotrich, aggiungendo che ‘la demolizione, la prima fase del rinnovamento della città, l’abbiamo fatta. Ora dobbiamo solo ricostruire'”.

Evitando per ora di commentare quanto siano spregevoli queste affermazioni e ripugnante la prospettiva di edificare con mattoni nuovi sui resti dei palestinesi uccisi, registriamo che, con tali dichiarazioni, Smotrich segnalava di essere propenso a porre fine alle operazioni militari.

Parte della Striscia, a stare alle sue dichiarazioni, andrebbe agli Stati Uniti e/o all’amministrazione che vi sarà installata, che avrà il compito precipuo di sorvegliare i palestinesi scampati al genocidio, mentre l’altra parte sarà accaparrata da Israele, accontentando almeno in parte i sogni – incubi per i palestinesi – di reinsediamento degli stralunati sostenitori della Grande Israele.

Insomma, per la prima volta da quando è iniziata la guerra, sembra che Netanyahu non debba guardarsi dalla sua destra, che ha sempre minacciato di far cadere il governo nel caso in cui avesse accettato la tregua.

Sembra, però, che l’altro leader ultraortodosso, Itamar Ben-Gvir, si opporrà a tale sviluppo, ma Netanyahu potrebbe eludere l’ostacolo e preservare il suo governo dalla caduta ricorrendo all’appoggio dei partiti centristi, che già in altre occasioni l’avevano esortato ad accettare il loro soccorso in cambio della fine della guerra (loro chiamano così il genocidio palestinese). In alternativa, Netanyahu potrebbe ricorrere ad altre magie. Ne ha tante nel suo repertorio.

E però, se davvero Ben-Gvir si sfilasse, Smotrich potrebbe ripensare la sua posizione, dal momento che i suoi fanatici elettori potrebbero vedere nel suo concorrente politico l’unico in grado di portare avanti fino allo stremo il loro sogno messianico.

Tale lo scenario prima del fatidico incontro tra Netanyahu e Trump, nel quale tali dilemmi dovrebbero essere sciolti. Si appressa il 7 ottobre e anche tale scadenza potrebbe indurre Netanyahu a considerare positivamente la fine della mattanza. Il giorno in cui Israele commemorerà le stragi di due anni fa potrebbe essere propizio per celebrare, insieme quelle, la vittoria su Hamas e la liberazione degli ostaggi sopravvissuti.

Per quanto riguarda i palestinesi, il loro futuro non si preannuncia certo roseo, anzi. L’amministrazione che dovrebbe gestire la Striscia, o parte di essa, avrebbe come compito principale, e forse unico, quello di sorvegliarli al posto dell’IDF, per il quale tale compito sarebbe eccessivamente dispendioso. Ma meglio questo che continuare a cercare di evitare le bombe e a sottostare alle durissime restrizioni attuali. In futuro si vedrà.

Resta che il genocidio che si è consumato a Gaza, sempre che si fermi (in via temporanea o definitiva che sia), e tacendo per ora delle buie prospettive della Cisgiordania, continuerà a mietere vittime innocenti.

Le restrizioni alle quali sono stati sottoposti per tutto questo tempo i palestinesi sopravvissuti, con bambini costretti a mangiare cibo per cani o erba, quando andava bene, bere acqua marina e/o inquinata, le ferite curate come si poteva, le patologie indotte dalle restrizioni… tutto ciò continuerà a uccidere nel tempo.

Nello Yad Vashem palestinese, che prima o poi dovrà sorgere da qualche parte, ci sarà posto anche per questo (riprendiamo, sul punto, un cenno ineludibile di Assaf David, che ne ha scritto su Haaretz).