26 Settembre 2025

La svolta di Trump sull'Ucraina è solo retorica

di Davide Malacaria
La svolta di Trump sull'Ucraina è solo retorica
Tempo di lettura: 5 minuti

La svolta di Trump sul conflitto ucraino, a quanto pare, resta limitata alla retorica. In realtà, al di là delle roboanti critiche a Mosca, il nocciolo del discorso all’Onu era una presa di distanza dalla guerra con relativo scaricabarile sulla sola Europa. Lo ha capito anche la stolida rappresentate degli Esteri Ue Kaja Kallas, che in un’intervista ha dichiarato: “Non possiamo essere solo noi“, Trump deve aiutarci.

"It can't be just us." The EU is shifting responsibility for aiding Ukraine from itself to the US.

Peraltro, che fosse quello il punto focale del discorso lo conferma il New York Times: “Grattando la superficie, un desiderio più profondo sembra celarsi nel cambiamento di posizione di Trump […]. Trump sembra volersi lavare le mani del conflitto ucraino, dal momento che non è riuscito a portare il presidente Vladimir Putin al tavolo dei negoziati e ha visto diminuire le sue possibilità di agire come mediatore”.

With His Pivot on Ukraine, Trump May Be Washing His Hands of the War

Il rapporto Usa-Russia resta più o meno inalterato, come conferma l’incontro avvenuto in parallelo al’invettiva di Trump, tra il Segretario di Stato Marco Rubio e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. A dimostrazione della proficuità del vertice, la risposta di Lavrov a un cronista che gli chiedeva come fosse andata. Nessuna parola, solo un gesto inequivocabile: pollice in sù.

L’intemerata di Trump all’Onu era un modo per allentare le pressioni che il partito della guerra sta esercitando su di lui, incrementate dagli sviluppi del mese di settembre, tra cui l’assassinio di Charlie Kirk, che l’ha mandato in confusione. Ha dato loro quel che volevano, ma solo a livello retorico.

Peraltro, Trump ha anche fatto marcia indietro rispetto al punto più pericoloso del suo discorso, quello in cui definiva la Russia una “tigre di carta”, che, come spiegavamo nella nota di ieri, apriva la strada a pericolose escalation perché segnalava un’asserita, quanto falsa, impossibilità di reazione dei russi a eventuali iniziative Nato (tanto è vero che Mosca si è affrettata a replicare a questa sola affermazione). Così, prima di incontrare il presidente turco Recep Erdogan, Trump ha dichiarato che non avrebbe più definito la Russia una tigre di carta (di fatto, un altro segnale diretto a Mosca).

Русская версия Trump will no longer call Russia a "paper tiger" Подробнее: https://eadaily.com/en/news/2025/09/25/trump-will-no-longer-call-russia-a-paper-tiger

L’escalation Usa – Russia, dunque, è durata meno di un giorno, mentre non si arresta l’isteria anti-russa del Vecchio Continente, dove si susseguono denunce su presunti attacchi ibridi da parte della Russia, che molesterebbe i Paesi europei con hackeraggi, sconfinamenti di jet e l’invio di droni su siti sensibili.

Denunce alle quali si alternano dichiarazioni incendiarie sulla necessità di fronteggiare le asserite minacce manu militari, fino alla richiesta di abbattere i jet russi sorpresi a violare i cieli dei Paesi Nato.

Una follia, dal momento che, come abbiamo accennato in altra nota, il cosiddetto sconfinamento – limitato – di jet russi in territorio Nato e viceversa è cosa usuale, parte di una ruotine volta a testare le capacità di reazione delle rispettive aviazioni a eventuali minacce aeree.

Inoltre, è anche relativo il concetto di sconfinamento, dal momento che parliamo di velivoli che si muovono a velocità supersoniche lungo confini aerei alquanto aleatori, benché rilevabili dalle apparecchiature elettroniche.

Quando accadono simili incidenti di percorso, la prassi usuale delle rispettive aviazioni è quella di far alzare i propri jet, che si avvicinano agli intrusi intimandogli la ritirata, cosa che avviene. Tutto qui.

Da qualche giorno si è voluto creare allarme su tale usuale confronto virtuale introducendovi una variabile ad alto rischio: abbattere un jet russo equivale a una dichiarazione di guerra, ha infatti dichiarato, con certa legittimità, l’ambasciatore russo a Parigi.

Al solito, la Russia ha reagito facendo parlare un funzionario di basso livello. Reazione che ha lo scopo di deterrenza, ma evita a Mosca di impegnarsi in maniera stringente per ritagliarsi spazi di manovra e non essere intrappolata in un’eventuale escalation incontrollata. Tanto che, interpellato sul punto, il portavoce del Cremlino, Dmitrj Peskov ha risposto: “Non voglio nemmeno parlarne; si tratta di dichiarazioni estremamente irresponsabili”.

Altra cosa sono i droni che stanno molestando gli aeroporti di alcuni Paesi europei o gli attacchi hacker agli stessi, molestia non trascurabile per il transito dei civili, attribuita ai russi.

In realtà, non c’è alcuna ragione per cui Mosca debba impegnarsi in simili azioni di disturbo, del tutto inutili dal punto di vista di un confronto geopolitico e che ha come unico esito quello di montare vieppiù l’isteria anti-russa, soprattutto nell’opinione pubblica europea, che Mosca ha sempre cercato di blandire. Tant’è.

Chiudiamo con una nota di colore. Quando abbiamo avuto notizia delle molestie dei droni, per una strana associazione di idee ci è tornato alla memoria il misterioso caso degli sciami di droni fantasma che hanno tormentato le notti degli americani tra l’ottobre e il dicembre del 2024, cioè tra alla fine dell’amministrazione Biden e nel periodo di transizione tra la vittoria di Trump (5 novembre) e il suo insediamento (20 gennaio).

Un fenomeno massivo quanto fantasmatico che ha allarmato i cittadini Usa soprattutto perché il governo federale e l’esercito negò che appartenessero all’arsenale degli Stati Uniti. Dapprima poco rilevato dai media, il fenomeno fu poi rilanciato con le domande del caso, anzitutto se fossero russi o cinesi, inviati sul territorio americano per spiare e testarne le capacità di reazione (più o meno quel che si dice ora). Biden, per parte sua, si limitò a minimizzare, reazione che incrementò ancor più le domande e l’allarme tra i cittadini.

Un fenomeno tanto molesto e minaccioso che Trump, non ancora in carica, chiese formalmente di abbattere i misteriosi velivoli. La richiesta pose fine alla vicenda, almeno così dice la tempistica. Fu poi l’amministrazione Trump a dare una spiegazione al mistero, anche se per nulla convincente, con l’unica ammissione veritiera è che i velivoli non appartenevano ai nemici dell’America, non erano cioè né russi nè cinesi. Un’associazione di idee la nostra, una suggestione, nulla più, ma che abbiamo ritenuto di condividere.

Mysterious New Jersey drones were 'not the enemy' - White House

 

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