8 Gennaio 2022

Il Green Pass e il Capitalismo di sorveglianza 2.0

di Eleonora Piegallini
Il Green Pass e il Capitalismo di sorveglianza 2.0
Tempo di lettura: 4 minuti

Il passaporto vaccinale, o green pass, è ormai una realtà in molti Paesi. Le problematiche che da mesi vengono sollevate da attivisti, politici e gente comune sono varie e, a fronte del dato, ossia che ad oggi il passaporto vaccinale potrebbe restare nelle nostre vite a lungo, dovremmo iniziare ad interrogarci sui rischi che comporta tale controllo capillare dei cittadini.

Le Big Tech spingono per un green pass perenne

Problemi di privacy, rischio di uso improprio dei dati anagrafici, informazioni sensibili nelle mani di aziende tecnologiche e dello Stato (che, peraltro, come hanno dimostrato gli ultimi due anni, intrattengono relazioni non proprio trasparenti), sono solo alcune delle criticità poste dall’introduzione di tale ,misura. E, come si legge in un recente articolo apparso su The Intercept, “L’evidenza supporta i sospetti dei più critici”.

Infatti, continua The Intercept,“ogni governo che introduce un passaporto vaccinale giura che l’uso che se ne fa è su base volontaria e che nessuna informazione personale non necessaria sarà conservata. Organismi internazionali tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’UE e la Camera di Commercio Internazionale stanno mettendo a punto degli standard normativi al fine di evitare il rischio di un abuso nell’utilizzo di questi dati”.

“Ad oggi, però, i governi non si trovano d’accordo nemmeno su semplici questioni come se chiedere il green pass per permettere l’ingresso in un bar o al cinema, figuriamoci su questioni ben più complesse come quali dati sia lecito richiedere o no, di chi sia responsabile di conservare e visionare questi dati e soprattutto per quanto tempo saranno archiviati”.

Il tempo è una questione cruciale. Infatti, con tutta probabilità, i passaporti vaccinali sono una realtà con cui dovremo fare i conti a lungo. Continua a tal proposito The Intercept: “New York, per esempio, non si aspetta di dismettere tale misura quando finirà il Covid“.

“Insieme a IBM (International Business Machines Corporation, una delle più importanti multinazionali americane del settore hig tech), le varie amministrazioni statali stanno già cercando di capire come poter impiegare queste nuovo tecnologie per altri tipi di documenti e credenziali”.

Dal pass al chip sottocutaneo

Il problema risiede principalmente nel fatto che una volta create le infrastrutture che supportano queste nuove tecnologie è difficile pensare che, visti gli interessi in gioco e la spinta crescente per una sorta di sicurezza assoluta, queste misure non verranno implementate… per tutelare la nostra sicurezza.

Ancora su The Intercept; “L’esperienza dell’Excelsior pass (il passaporto vaccinale istituito dallo Stato di New York) ha accelerato la ricerca sul cosiddetto governo digitale, secondo quanto riferito dall’ingegnere che ha creato la piattaforma. Il presidente Joe Biden userà il passaporto per far rispettare l’obbligo di vaccinazione dei dipendenti statali? E poi? Ci sarà un limite?”.

Non esiste infatti un pulsante per cancellare i dati biometrici (dati relativi alle nostre caratteristiche fisiche e fisiologiche) raccolti ed archiviati. Inoltre, come è intuibile, dato che la raccolta di dati biometrici è strettamente connessa allo sviluppo e all’implementazione di tecnologie di sorveglianza, sia il potenziale di profitto che le ambizioni di imprenditori-visionari stanno aumentando a dismisura.

Continua The Intercept “Gli analisti prevedono che il mercato globale della biometria crescerà del 15% all’anno, raggiungendo quasi 105 miliardi di dollari entro il 2028. […] Allo stesso tempo, ricercatori provenienti dall’ambito accademico e dall’industria stanno lavorando a un archivio globale di bio-dati. Sarebbe ingenuo supporre che investimenti e ricerca non siano collegati”.

A tal proposito, sul blog inglese Express, leggiamo che una start-up svedese, Disruptive Subdermals (nome inquietante: dirompente sottocutaneo…), ha messo a punto un microchip da impiantare sotto pelle, così da poter controllare lo status vaccinale delle persone.

Innovazione degna di un distopico kolossal di fantascienza, non c’è da stupirsi che l’amministratore delegato dell’azienda abbia affermato che “questa tecnologia esiste e sarà utilizzata, che ci piaccia o no”.

Ed è proprio questo il problema principale: più sono gli interessi in gioco, più è improbabile che queste nuove tecnologie verranno accantonate se e quando il perenne stato emergenziale nel quale siamo sprofondati da quasi due anni avrà termine.

La nuova fase del Capitalismo di sorveglianza 

I dati, come sostiene Michael Faucault in uno dei suoi testi più importanti, sono la linfa vitale dello stato moderno, da lui definito Stato “bio-politico”, ossia in cui gli aspetti principali dell’esistenza (la vita, la riproduzione e la morte) sono sotto il controllo statale. Va da sé che la salute pubblica, in particolar modo l’ambito dell’epidemiologia, sia uno dei principali interessi di tale stato.

Il problema posto da questa raccolta massiva di dati è enorme, dal momento che potrebbero essere usati indebitamente. E si pone l’esigenza di produrre leggi a tutela dei più. Anche perché una caratteristica dello stato bio-politico è la sostanziale indifferenza tra sorveglianza a fin di bene o a fin di male.

Come si diceva, il desiderio spasmodico di sicurezza – e l’illusione di avere tutto sotto controllo perché si posseggono fogli e fogli di statistiche che tentano di quantificare il rischio – è alla base dell’idea che il passaporto vaccinale possa risolvere i nostri problemi, eliminando il sospetto che nutriamo verso gli altri (potrebbero contagiarci o no?) grazie a false sicurezze. “La salute pubblica può uccidere la vita pubblica?” Si chiede a tal proposito, e giustamente, il notista di The Intercept.

Il passaporto vaccinale incarna insomma tutte le contraddizioni della pandemia che lo ha generato, sorveglia e promette. E non se ne andrà.

Quindi, conclude The Intercept, se davvero siamo destinati a un futuro dominato da “un apparato globale di iper-sorveglianza digitale, dobbiamo esigere che non sia occulto, sia di proprietà pubblica e regolamentato e che il suo funzionamento sia trasparente e il suo utilizzo rigorosamente definito”.

Sul punto, The Intercept appare fatalista, accettando come ormai irrevocabile questa tragica prospettiva, ma ci permettiamo di lasciare qualche residuo spazio alla speranza.

Anche perché supporre di porre limiti a tale mostruosità ci appare ingenuo, come evidenzia in maniera drammatica l’attualità, dove alcune delle scorrettezze dei giganti della tecnologia – peraltro le meno nefaste – al massimo sono sanzionate con ammende scandalosamente basse a fronte dei danni provocati e dei profitti incassati.

Sarebbe necessario, prima di arrivare a questa follia, un dibattito pubblico nel quale si eviti lo sport attualmente più in voga, cioè la demonizzazione delle opinioni avverse. Ma se sperare è lecito, non lo è coltivare ireniche illusioni.

Già prima della pandemia tanti avevano lanciato l’allarme sui rischi posti dal ruolo delle Big tech nel mondo e si era parlato di una fase nuova del Capitalismo, definita Capitalismo di  sorveglianza. Il processo sta accelerando e produrrà nuove e più nefaste mostruosità.

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