20 Novembre 2023

Haaretz e l'elicottero che ha sparato al rave

Le difficili decisioni sul campo e la "direttiva Annibale". Il rave prolungato all'ultimo momento. Il fallimento dell'intelligenza israeliana seguito da un altrettanto grave fallimento della risposta militare?
elicottero
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“L’indagine della polizia ha scoperto che […] un elicottero militare che ha sparato contro i terroristi a quanto pare ha colpito anche alcuni dei convenuti” al rave organizzato presso la Striscia, nel quale si è registrato un elevato numero di vittime. Questa rivelazione di Haaretz, basata su un’indiscrezione anonima proveniente dalla polizia, ha fatto il giro del mondo.

Le domande sul 7 ottobre: elicottero e missili Hellfire

L’indiscrezione conferma in parte quanto rivelato da Max Blumenthal su Grayzone, in un articolo nel quale riferiva altri episodi simili accaduti il 7 ottobre.

Tovel Escapa, della squadra di sicurezza del kibbutz Be’eri, ha raccontato ad Haaretz che le forze israeliane non sapevano come contrastare il nemico, così “i comandanti sul campo hanno preso decisioni difficili – compresa quella di bombardare le case con tutti i loro occupanti per eliminare i terroristi insieme agli ostaggi”.

Qualcosa di simile si è verificato al valico di Erez, via di accesso dalla Striscia verso Israele, dove Hamas aveva attaccato i presidi militari e l’amministrazione civile preposta al controllo di Gaza.

Sotto l’incalzare dell’attacco, annotava Haaretz: “il generale Rosenfeld si trincerò nella sala di guerra sotterranea della divisione insieme a un pugno di soldati e donne, cercando disperatamente di salvare e organizzare il settore sotto attacco. Molti soldati, la maggior parte dei quali non combattenti, sono stati uccisi o feriti all’esterno. La divisione è stata costretta a richiedere un attacco aereo contro la loro stessa base per respingere i terroristi”.

Sempre su quanto avvenuto al kibbutz Be’eri, la testimonianza, sempre ad Haaretz, del sergente maggiore Erez, intervenuto con la sua unità di carri armati: “All’interno del kibbutz si combatteva casa per casa con i carri armati, non c’era scelta”.

Altro particolare: alcuni dei corpi carbonizzati rinvenuti su alcuni veicoli, che Israele ha annoverato tra le fila dei suoi concittadini vittime di Hamas, secondo Grayzone sarebbero uomini di Hamas colpiti dai missili Helfire, dal momento che la combustione riscontrata è davvero eccessiva perché sia stata causata da un rogo. E i missili Helfire sono in dotazione all’esercito israeliano.

Si noti che Israele ha detto pubblicamente di aver fatto tale errore di calcolo, cumulando cioè alle vittime israeliane quelle di alcuni miliziani di Hamas. Ma l’ipotesi avanzata da Grayzone è più incisiva e non priva di suggestioni: quelle automobili carbonizzate potevano ospitare anche degli ostaggi.

Grayzone riporta anche altri episodi che interpellano, ma sul punto rimandiamo al sito in questione, dal momento che usa anche fonti non mainstream e noi vogliamo attenerci a queste ultime.

Il catastrofico fallimento

Ma tornando all’incipit del nostro articolo, Haaretz spiegava anche che Hamas non aveva progettato di attaccare il rave, ma il “kibbutz Ra’im e i kibbutz vicini”. Non sapevano nulla del rave, che peraltro avrebbe dovuto terminare il giorno precedente e invece è stato prorogato (una maledetta iattura, che meriterebbe approfondimenti). L’attacco al rave, dove è intervenuto l’elicottero dell’IDF, è stato deciso all’ultimo momento.

Studiando l’elenco delle vittime dell’attacco pubblicato su Haaretz, Grayzone registrava che il 50% di esse sono militari o in forza alla Sicurezza o alla polizia. Quindi circa 600 delle 1.200 vittime sono civili.

Tra il rave, 364 le vittime, e il kibbuz di Be’eri, 130 le vittime, si annoverano circa 500 vittime civili. Così la maggior parte delle vittime civili si sono registrate laddove l’esercito israeliano è intervenuto con una maggiore potenza di fuoco. Ma l’entità delle vittime del fuoco incrociato resta misteriosa, per cui è impossibile dare informazioni certe e soprattutto è d’obbligo non trarre conclusioni affrettate.

Secondo Grayzone l’intervento ad ampio raggio delle forze israeliane si spiegherebbe con l’applicazione della direttiva Annibale, in vigore da qualche anno nell’esercito israeliano, che suggerisce la possibilità di uccidere un proprio soldato per evitare che venga rapito, perché la liberazione di ostaggi in passato ha avuto costi politici insostenibili.

Ma senza arrivare a ipotesi tanto estreme, basta ricordare il caos di quei momenti, incrementato dall’incertezza riguardo l’entità degli assalitori e dalla possibilità che si aprissero altri fronti (Hezbollah, Cisgiordania). Da cui una paura esistenziale e una reazione estrema che ha prodotto un incremento non enumerabile del numero delle vittime, aumentate vieppiù a causa dell’incursione in territorio israeliano di tanti appartenenti a formazioni militari altre da Hamas o a nessuna di esse, che quel giorno hanno trovato spalancati i cancelli della prigione a cielo aperto che è Gaza.

Il segreto

Non si tratta di prendere le parti di Hamas, ma di segnalare che la storia di quel 7 ottobre dovrebbe essere indagata più a fondo. Ovviamente, l’esercito israeliano non ha nessun interesse a far emergere di aver usato una forza eccessiva per contrastare il nemico, anzi ha tutto l’interesse al segreto, sia per evitare reazioni interne sia per non incrinare la sua immagine di invincibilità. Tantomeno adesso, con la guerra in corso. D’altronde, anche la responsabilità della reazione eccessiva può essere facilmente addossata al nemico, che l’ha costretto a un contrasto fuori registro.

Si può aggiungere che anche la politica israeliana ha tutto l’interesse al segreto, dal momento che sta legittimando l’implacabile operazione di Gaza con quella strage.

A evidenziare la volontà di conservare il segreto anche il fatto che la rivelazione di Haaretz è frutto di un’indagine della polizia – e non dell’esercito – trapelata, peraltro, al giornale in forma anonima e solo dopo più di un mese dai fatti.

Inutile sottolineare l’importanza di avere una piena contezza dei fatti. Hamas ha dichiarato che voleva colpire obiettivi militari e prendere degli ostaggi per poterli scambiare con i prigionieri palestinesi, detenuti nelle carceri israeliane spesso per motivi futili (lo hanno denunciato anche media israeliani; qui un articolo di Haaretz sui tanti bambini palestinesi detenuti).

Non che Hamas non avesse messo in conto che il suo attacco potesse fare vittime civili, ma una cosa è un attacco volto solo a far strage di civili, in stile Terrore, un conto è un attacco con obiettivi militari, sia pur condannabile nelle sue modalità, come d’altronde non può che essere condannata la reazione sproporzionata di Israele su Gaza.

Non si tratta di legittimare Hamas, solo di registrare una delle tante ombre di quel 7 ottobre, che ha avuto inizio, va ricordato, solo grazie a un catastrofico fallimento dell’Intelligence e della Sicurezza di Israele, che non ha predisposto contromisure, pur avendo piena contezza dell’attacco. Tale débâcle può legittimamente instillare il dubbio che vi sia stato un fallimento altrettanto catastrofico nella risposta immediata all’aggressione.

Resta che le tante domande che si stanno cumulando difficilmente troveranno risposta, anche per la sacralità di cui è circonfusa la tragedia del 7 ottobre, ormai accostata all’Olocausto nonostante il chiaro distinguo che ha posto in maniera inequivocabile lo Yad Vashem, custode di quella memoria.

E resta il mistero del perché sia stato rivelato un episodio tanto imbarazzante. Possibile che sia stato una sorta di segnale al governo perché ammorbidisca le sue posizioni o sullo scambio di prigionieri – chiesto da tanta parte della società israeliana – o sulla guerra (o su ambedue). Vedremo.

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