26 Novembre 2025

Il cosiddetto piano di pace di Gaza: fase due del genocidio?

di Davide Malacaria
Il cosiddetto piano di pace di Gaza: fase due del genocidio?
Tempo di lettura: 5 minuti

Secondo uno studio del Max Planck Institute for Demographic Research (MPIDR) sintetizzato da Antiwar, a Gaza sono state uccise oltre 100mila persone. Una constatazione alquanto ovvia, dal momento che le 78.318 vittime registrate finora sono quelle accertate in un territorio in cui domina un caos che rende oltremodo difficile le verifiche. Ma ora è ufficiale.

Study: Israeli Forces Likely Killed More Than 100,000 Palestinians in Gaza

A tale analisi vanno aggiunte due considerazioni. La prima è che alle vittime dirette vanno aggiunte quelle indirette. Lo spiega Ana C. Gómez-Ugarte, che ha partecipato allo studio: “Gli effetti indiretti della guerra, che sono spesso più gravi e duraturi, non sono quantificati nelle nostre considerazioni”. Stime conservative, cioè minimaliste, sui conflitti indicano che nelle guerre a ogni vittima diretta se ne devono aggiungere 4 indirette.

Peraltro, parliamo di conflitti in cui esisteva un qualche servizio sanitario, non venivano imposte restrizioni draconiane agli aiuti né la Forza era usata in maniera tanto massiva e ingegnerizzata, cose che hanno reso l’aggressione di Gaza un unicum. A causa di questa mortalità, conclude lo studio, l’aspettativa di vita dei palestinesi di Gaza si è quasi dimezzata.

Non solo, il MPIDR ha accertato che ““la distribuzione per età e genere delle morti violente a Gaza […] è molto simile ai modelli demografici osservati in diversi genocidi documentati dal Gruppo interagenzia delle Nazioni Unite per la stima della mortalità infantile (UN IGME)”.

Questa la tragica situazione della Striscia, mentre incombe un futuro ancora cupo. Infatti, Hamas ha restituito quasi tutti i corpi degli ostaggi deceduti – ne mancano due – e ciò dovrebbe aprire alla fase due dei negoziati, che dovrebbe vedere Israele ritirarsi dai territori di Gaza occupati, ma non sembra che ciò sia all’orizzonte.

Lo dimostra il fatto che la Commissione israeliana che dovrebbe supervisionare la seconda fase comprende il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e quello per la Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, i più accaniti sostenitori dell’annessione. Come mettere due volpi a guardia di un pollaio. Peraltro, Tel Aviv da sempre ha usato l’occupazione provvisoria per acquisire in via definitiva nuovi territori palestinesi.

Su quanto sta accadendo, un articolo di Ramzy Baroud su Arab news. Secondo il cronista, Israele ha fallito nel suo tentativo di espellere i palestinesi e occupare la Striscia, da cui il cosiddetto piano di pace made in Usa, che servirebbe a evitare che l’insuccesso militare israeliano possa avviare processo involutivo in Israele che potrebbe concludersi con la sua “implosione”. Tanto che il tema della dissoluzione di Israele, in precedenza marginale, è ora parte cruciale del dibattito culturale dell’ebraismo.

Why Israel’s plan to divide Gaza is doomed to fail

In parole povere, annota Baroud, il cosiddetto piano di pace serve “a salvare Israele da se stesso”, per dargli cioè “la possibilità di manovrare. Invece di occupare tutta Gaza e cacciare i palestinesi, Israele ora userà l’ingegneria sociale e politica per raggiungere lo stesso obiettivo”.

Infatti, il cessate il fuoco “ha di fatto imposto un nuovo meccanismo che consente a Israele di condurre una guerra unilaterale – con ulteriore espansione territoriale, distruzione, assassinii e occasionali massacri – con i palestinesi che non vedono altro che il mero rallentamento della macchina di morte israeliana”. Peraltro, anche violazione del “principio più basilare dell’immaginario cessate il fuoco: consentire l’ingresso di aiuti vitali a Gaza”.

La risoluzione Onu su Gaza, inoltre, impone ai palestinesi una nuova realtà, ma non prevede nessun vincolo per Israele e “istituisce un’amministrazione transitoria che esclude completamente i palestinesi” e ha come ramo esecutivo “la Forza internazionale di stabilizzazione, il cui unico compito è ‘stabilizzare il contesto di sicurezza a Gaza’ per conto di Israele, in particolare disarmando i gruppi palestinesi”.

“La Forza, secondo la risoluzione, deve operare ‘in stretta cooperazione” con Israele, il che significa che avrà il compito di conseguire gli obiettivi militari di Tel Aviv, consentendo così a Israele di determinare i tempi e la natura del suo presunto ritiro graduale” (non c’è da stupirsi che i Paesi arabo-islamici che si sono detti disponibili a inviare truppe ora nicchiano).

“Dal momento che i palestinesi si rifiutano di disarmarsi – perché un disarmo incondizionato senza garanzie internazionali significative porterebbe sicuramente alla ripresa in grande stile del genocidio – Israele si rifiuterà di lasciare Gaza”.

Hamas refuses to disarm until Palestinian state established

Da qui la divisione di Gaza in due zone, che rappresenta “un tentativo guidato dagli Stati Uniti di cambiare la natura della sfida di Tel Aviv, pur mirando in ultima analisi a raggiungere gli stessi obiettivi. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite serve pienamente gli interessi di Israele, da qui l’entusiasmo di Netanyahu, eppure Tel Aviv si rifiuta ancora di rispettarla, rendendo chiaro che non ci sarà alcuna fase due del piano originale di Trump”.

“L’intero schema politico, tuttavia, è destinato a fallire. Sebbene le sofferenze palestinesi peggioreranno sicuramente nei prossimi mesi, la strategia USA-Israele è fondamentalmente sbagliata: si basa su inganni e coercizione e si fonda sul falso presupposto che i palestinesi, temendo il genocidio, accetteranno qualsiasi piano sia loro imposto”. La storia, annota invece Baroud, parla di resilienza palestinese.

“La guerra israeliana a Gaza – conclude lo scritto – non si è fermata. Ha semplicemente cambiato forma” e il piano di pace rappresenta “una manovra diplomatica progettata per facilitare il piano israeliano per il controllo della Striscia di Gaza e la pulizia etnica della sua popolazione”.

Resta da capire perché l’Occidente e la comunità ebraica internazionale abbiano imposto a Netanyahu un freno che né lui né i suoi colleghi messianici volevano. Il fatto è che il genocidio trasmesso in diretta streaming era insostenibile a livello di immagine.

Milioni di israeliani, molti dei quali soldati, sono rimasti feriti durante la guerra. Dov'è quindi lo Stato in questo incidente?

Non solo, stava logorando la stessa Israele. Yedioth ahronoth, citiamo a mo’ di esempio, riporta l’allarme delle autorità preposte alla salute mentale della popolazione: due milioni di cittadini necessitano di cure psicologiche-psichiatriche, un quinto della popolazione… Tanto che si segnala un vero e proprio “tsunami mentale”. Il genocidio ha un costo, anche per i carnefici.

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