Gli Usa a Kiev: «Questa merda deve finire»
Tempo di lettura: 4 minuti»Perdere la dignità o un alleato chiave: questo il passaggio chiave del discorso di Zelensky di ieri, messo alle strette dall’ultimatum di Washington che ha minacciato di non fornire più armi e intelligence all’Ucraina se non cede (ultimatum imposto dopo il fallimento del recente summit di Istanbul).
In realtà, brandire la dignità da parte di Zelensky non è stata una grande trovata, basta osservare quanto emerso dalle recenti inchieste che fotografano una leadership politica che si arricchisce in modalità scandalose – peraltro sono soldi Ue e Usa – mentre manda i suoi cittadini al massacro.
Né è una parola che si attaglia alla tragica situazione del Paese, che più che di richiami ideali ha bisogno di pragmatismo per porre fine alla macelleria nella quale è stato trascinato proprio da tale idealismo del tutto avulso dalla realtà: la dura e semplice realtà che Kiev non poteva e non può vincere la guerra contro la Russia, anche con il sostegno della Nato, come avevano messo in guardia fin dall’inizio del conflitto i pochi analisti onesti/realisti in giro per l’Occidente.
Così veniamo all’altra parola magica brandita da quanti si oppongono al piano di pace made in Usa: “capitolazione”. Parola strillata ieri nell’editoriale del Kyiv post, media ucraino di rito britannico, che così titolava: “Nessuna capitolazione imposta!”. Un grido di dolore che da Kiev riecheggia in seno alle Cancellerie europee.
Per capitolazione si intende una pace che consegna a una parte belligerante ricavi inaccettabili dall’altra. Questa parola magica, brandita in modalità esoterica, è stata usata fin dal 2015, quando al grido “no alla capitolazione” Kiev, sotto la pressione delle fazioni più aggressive ed eterodirette, rifiutò tutte le proposte di accordo discendenti dalle intese di Minsk – che prevedevano l’autonomia del Donbass preservando però la piena sovranità ucraina – alimentando al contempo la conflittualità con le regioni filo-russe e Mosca e ponendo le basi per l’invasione del 2022.
Sempre in nome del rifiuto della capitolazione, stavolta sotto la spinta più diretta delle Cancellerie occidentali (oltre che delle fazioni ucraine di cui sopra), Kiev ha poi vanificato tutti i tentativi di negoziato successivi, stavolta nell’irrealistica illusione, alimentata dall’estero, che potesse vincere.
Sulla controversia sulla capitolazione scrive Strana, che conclude: le domande che circolano in Ucraina sono “quali ulteriori sacrifici dovrà affrontare il popolo ucraino se la guerra continua? Quanta morte e distruzione? L’età minima per la mobilitazione verrà ulteriormente abbassata e i meccanismi repressivi contro i renitenti alla leva e quanti sono ritenuti sleali saranno rafforzati? L’Europa sarà in grado di fornire all’Ucraina gli aiuti necessari, oppure il tasso di cambio della grivna dovrà essere abbassato a 100 per dollaro e gli stipendi dei dipendenti pubblici dovranno essere pagati in razioni alimentari?”
“E, soprattutto, quanto è probabile che l’Ucraina abbia in futuro condizioni di pace migliori, piuttosto che peggiori, che potrebbero addirittura portare alla capitolazione [quella vera]? Dopotutto, finora, ogni nuova condizione di pace è stata peggiore per l’Ucraina rispetto alle precedenti”. Né si può ignorare la situazione al fronte, che vede l’esercito ucraino sempre più alle corde.
Trump, è evidentemente sollevato dopo aver dato il placet alla rivelazione dei file di Epstein (ci torneremo), come dimostra l’incontro rilassato con il sindaco di New York, il socialista Zohran Mamdani (appeasement che avrà irritato non poco i tanti detrattori miliardari pro-Israele del suo interlocutore). E ha più libertà di manovra. Da qui la rinnovata pressione su Kiev.
Non vuole mollare la presa, così che ieri, interpellato da un giornalista sulla reazione di Zelensky al piano di pace, ha risposto: “Vuoi dire che non gli piace?… Beh, dovrà piacergli. E se non gli piace, allora, sai, probabilmente dovrebbero continuare a litigare. Immagino”. Aggiungendo: “Beh, a un certo punto, dovrà accettare qualcosa. Sai, non ha mai accettato niente”…
Stavolta fa davvero sul serio, tanto che ha telefonato al Cancelliere Friedrich Merz, consapevole che la Germania può essere l’unico Paese europeo che potrebbe controbilanciare, se cambia verso, la spinta bellicista della Gran Bretagna. Una telefonata che il Cancelliere tedesco ha definito “positiva“, anche se il contenuto resta “confidenziale”.
Ma, soprattutto, ha dato spazio a J. D. Vance rispetto ai falchi, nominando inviato per l’Ucraina un “caro amico” del vicepresidente, il Segretario dell’Esercito Dan Driscoll, al posto del dimissionario-dimissionato neocon Keith Kellog. La determinazione di Driscoll è fotografata da quanto riporta Strana: arrivato a Kiev per illustrare-imporre il piano di pace ha esordito così: “Questa merda deve finire”.
Di oggi la notizia che un gruppo di generali americani volerà a Mosca per trattare con la Russia. Motus in fine velocior…
Non sarà facile porre fine a questa guerra e tutto può saltare, ché le forze di contrasto in America e in Europa sono più forti di quanto appaia. Ma stavolta Trump dimostra una determinazione che gli insuccessi dovuti ai sabotaggi del passato hanno temprato.
Quanto alla Russia, attende. L’obiettivo della grande offensiva lanciata questa estate era Pokrovsk, città strategica dal punto di vista militare ma anche, e soprattutto, economico. L’ha presa, può accontentarsi anche di cedere su altro.
D’altronde, il piano americano è ampio e articolato, ricomprendendo peraltro clausole per ripristinare un’architettura di sicurezza in Europa – cosa che più irrita i guerrafondai Ue – e l’estensione del trattato Start sul controllo del nucleare. Tanti i compromessi che lascia aperti che c’è spazio per smussare gli attriti.




