Palestina: i prigionieri di Gaza
Tempo di lettura: 4 minutiGli attacchi israeliani a Gaza continuano, giorno dopo giorno, implacabili, come se il cessate il fuoco non esistesse, senza che gli Usa, principale sponsor di Tel Aviv, né i Paesi europei facciano nulla per impedirli. Sono 339 i palestinesi uccisi da quando è in vigore la cosiddetta tregua, 871 i feriti. Al solito, la maggior parte delle persone colpite sono donne e bambini.
Secondo
Infatti, “se Israele avesse davvero intenzione di evacuare l’area dopo la seconda fase del cessate il fuoco, non starebbe perseguendo attivamente la distruzione sistematica e strutturale di questa regione già devastata. Chiaramente, le motivazioni di Israele sono molto più insidiose, incentrate sul rendere la regione perennemente inabitabile” (o forse altro e più sinistro… ci torneremo).
E, sul diuturno stillicidio dei palestinesi, annota: “In pratica, questo cessate il fuoco equivale a una tregua unilaterale, in cui Israele può condurre una guerra implacabile a bassa intensità contro Gaza, mentre ai palestinesi viene sistematicamente negato il diritto di rispondere o difendersi”.
“Gaza è quindi condannata a rivivere lo stesso tragico ciclo di storia violenta: una regione indifesa e impoverita, intrappolata sotto lo stivale dei calcoli militari israeliani, che operano costantemente al di fuori dei limiti del diritto internazionale”.
Non solo la distruzione. Se prima del 7 ottobre Gaza era una prigione a cielo aperto, ora è qualcosa di assimilabile a un campo di sterminio, nel quale i palestinesi, oltre a non poter fuggire, sono presi di mira ad arbitrio dei loro carcerieri.
E dire che Gaza, “una delle civiltà più antiche del mondo, è sempre stata perfettamente integrata in uno spazio geografico socio-economico più ampio”, integrazione territoriale che fu conservata, sotto altra forma, persino sotto il protettorato britannico.
Con la nascita dello Stato d’Israele e “in seguito all’armistizio del 1949, che codificò i confini post-Nakba [e cristallizzarono l’espulsione di massa di centinaia di migliaia di palestinesi dai propri territori ndr.], il tormento collettivo di Gaza, illustrato dalla riduzione dei suoi confini, iniziò sul serio”.
“L’ampio Distretto di Gaza fu brutalmente ridotto alla Striscia di Gaza, appena l’1,3% della superficie complessiva della Palestina storica. La sua popolazione, a causa della Nakba, era cresciuta in modo esponenziale con oltre 200.000 rifugiati disperati che, insieme alle generazioni dei loro discendenti, sono rimasti intrappolati e confinati in questa piccola striscia di terra per oltre 77 anni”.
“Quando Israele occupò Gaza in modo permanente nel giugno del 1967, le linee che la separavano dal resto della geografia palestinese e araba divennero parte integrante e permanente di Gaza stessa. Subito dopo l’occupazione della Striscia, Israele iniziò a limitare ulteriormente la circolazione dei palestinesi, sezionando Gaza in diverse aree”.
“L’estensione e la posizione di queste linee interne furono in gran parte determinate da due motivi fondamentali: frammentare la società palestinese per garantirne la sottomissione e creare ‘zone cuscinetto’ attorno agli accampamenti militari israeliani e agli insediamenti illegali”.
“Tra il 1967 e il cosiddetto ‘disimpegno’ di Israele da Gaza [del 2005 ndr], Israele aveva costruito 21 insediamenti illegali, numerosi corridoi militari e posti di blocco, dividendo di fatto la Striscia e confiscando quasi il 40 percento del suo territorio”.
“Dopo il ridispiegamento, Israele ha mantenuto il controllo assoluto e unilaterale dei confini di Gaza, come anche sull’accesso al mare, sullo spazio aereo e persino sul registro della popolazione. Inoltre, Israele ha creato un altro confine interno a Gaza, una ‘zona cuscinetto‘ pesantemente fortificata che si snodava attraverso i confini settentrionali e orientali”.
“Questa nuova area ha conosciuto l’uccisione a sangue freddo di centinaia di manifestanti disarmati e il ferimento di migliaia di persone che hanno osato accostarsi a quella che è stata spesso definita come ‘kill zone'”.
“Persino il mare di Gaza era di fatto vietato. I pescatori erano confinati in modo disumano in spazi ristretti, a volte meno di tre miglia nautiche, e circondati dalla marina israeliana che sparava regolarmente ai pescatori, affondava imbarcazioni e arrestava gli equipaggi a proprio piacimento”.
“La nuova Linea Gialla di Gaza non è che l’ultima e più eclatante demarcazione militare di una lunga e crudele storia di linee volte a rendere impossibile la vita dei palestinesi. La linea attuale, tuttavia, è peggiore di tutte le precedenti perché soffoca completamente la popolazione sfollata in un’area completamente distrutta, senza ospedali funzionanti e con solo pochi aiuti salvavita”.
“Per i palestinesi, che da generazioni lottano contro la reclusione e la frammentazione, questa nuova situazione rappresenta il culmine intollerabile e inevitabile della loro prolungata espropriazione multigenerazionale”.




