Il discorso di Trump alla Knesset e il niet alla liberazione di Barghouti

Il raccapricciante discorso di Trump alla Knesset aveva diversi scopi. Anzitutto, il tycoon voleva prendersi la dovuta gloria, cosa in sé legittima dal momento che senza il suo intervento il genocidio avrebbe continuato il suo corso. In secondo luogo, serviva a costringere Netanyahu a essere conseguente.
Dopo le lodi sperticate quanto stridenti all’indirizzo del premier israeliano che, avendo vinto la guerra, ha saputo cogliere l’occasione per fare una pace che proietta Israele verso un futuro aureo (grazie all’ampliamento degli Accordi di Abramo), così nello stralunato discorso del tycoon, e dopo le reiterate standing ovation di tutta la Knesset al suo indirizzo, sollecitate dal presidente Usa, gli sarà più arduo tornare a far strame di gazawi.
La pace, così la chiamano, non gli toglierà il potere, prospettiva che più di altre lo ha spinto a proseguire il genocidio; anche perché, se i partiti di ultradestra si sfilassero dal governo, il centrista Lapid è pronto a sostenerlo. Non per nulla è stato l’unico politico israeliano presente all’assise, oltre a Netanyahu, a essere lodato da Trump.
Inoltre, il fatto che, con la sua augusta presenza, Trump abbia voluto porre il sigillo imperiale alla cosiddetta pace, un’eventuale violazione palese degli accordi da parte di Israele sarebbe, di fatto, un crimine di lesa maestà, ponendo rischi catastrofici al rapporto con l’impero.
Dal più alto scranno della Knesset Trump ha detto ai suoi plaudenti ascoltatori quel che volevano sentirsi dire, in armonia con tutte le corde della propaganda israeliana, ribadendo l’indissolubile rapporto con gli Stati Uniti, pronti a sovvenire in tutto e per tutto all’esigente alleato.
Per i palestinesi, ai quali ha accennato di sfuggita, un futuro libero dall’oppressione di Hamas, tacendo di quella israeliana, all’interno del nuovo, ad oggi immaginifico, parco giochi di Gaza, realizzato da immobiliaristi americani e soldi arabi. Nessuno Stato palestinese all’orizzonte, ma nemmeno l’agognata, da Israele, pulizia etnica (almeno ad oggi).
Resta lo spettacolo indecorso di un Parlamento abitato da una sguaiata felicità tanto stridente con il genocidio che quel centro di potere e di controllo ha ordinato e accompagnato. Semplicemente non esisteva. Fotografia di una leadership e di un Paese che, a parte lodevoli e minoritarie eccezioni, abita in una bolla avulsa dalla realtà.
Comunque, Trump doveva per chiudere il genocidio e tanto si doveva (per la cronaca – nera – dopo il cessate il fuoco, sono stati uccisi 7 palestinesi…). Il tycoon ha dato fondo a tutta la sua prosopopea ma, al di là delle tante distonie del suo discorso, resta che sta dando prova di flessibilità sul cosiddetto piano di pace, accordando ad Hamas la possibilità di fungere temporaneamente da forza di polizia nella Striscia, in contraddizione con la richiesta israeliana di un completo disarmo e, almeno sembra, in linea con la richiesta della milizia di deporre le armi al cospetto del nuovo governo tecnocratico palestinese.
Dopo l’osannata interpretazione alla Knesset e il pubblico plauso di Israele e del mondo, la deroga non ha suscitato le usuali reazioni israeliane. Inoltre, Trump ha dichiarato che i 20 punti non rappresentano una tabella di marcia inderogabile, riservandosi una qual flessibilità, necessaria a eludere rotture.
Quanto all’accordo, due particolari aggiuntivi rispetto a quanto scritto nelle note pregresse. Il primo è che la garanzia sulla durata del cessate il fuoco è giunta in un incontro diretto tra i capi di Hamas e il duo Steve Witkoff – Jared Kushner, nel quale questi ultimi hanno rassicurato che Trump si è fatto garante della tenuta dell’intesa.
Non è poco se si considera il dogma imperante che vede in Hamas un’emanazione del diavolo e che, in una trattativa pregressa, quella che portò alla liberazione di Edan Alexander – mentre la prospettiva di un’intesa più ampia fu affondata da Netanyahu – il mediatore Usa Adam Boehler fu massacrato per poi essere escluso dai negoziati per aver osato incontrare i delegati di Hamas vis a vis e averne parlato come persone ragionevoli.
Cosa che non si è ripetuta per l’incontro succitato nel quale Witkoff, prima di avviare la trattative, ha porto le condoglienze al leader di Hamas Khalil al-Hayya per la perdita del figlio, ucciso nell’attacco israeliano a Doha, aggiungendo di comprenderne il dolore avendo anch’egli perso un figlio.
L’altro particolare significativo, a vari livelli, è che Ronald Lauder, presidente del Congresso ebraico mondiale, si è speso perché fosse accolta la richiesta di Hamas di liberare Marwan Barghouti, il Mandela palestinese (su Bargouthi vedi l’articolo di Claudia Carpinella su InsideOver).
L’iniziativa evidenzia che la comunità ebraica mondiale ne aveva abbastanza della follia sanguinaria di Netanyahu, se non per motivi umanitari quantomeno per tentare di difendere l’immagine e la tenuta stessa del Paese nell’ambito dell’ecumene globale, dal quale rischiava l’esclusione. Per questo, più che per altro, Trump ha potuto imporsi sul premier israliano.
Barghouti, però, non è stato liberato. Il fatto è che la sua liberazione avrebbe avuto un effetto simile alla liberazione di Mandela. Sarebbe stato cioè un passo simbolico quanto significativo verso l’emancipazione dei palestinesi e apriva alla prospettiva di uno Stato, passo dovuto dalla comunità internazionale dopo il genocidio, allo stesso modo con cui si adoperò per creare Israele dopo l’Olocausto. Ma Israele e la comunità ebraica internazionale, almeno nella sua parte più influente, rifiuta tale passo.
Infine, tante e legittime le doglianze in Israele per il ritardo nella restituzione dei corpi degli ostaggi defunti da parte di Hamas. C’è chi parla addirittura di violazione degli accordi. Il fatto è che rinvenirli tra le rovine della Striscia è esercizio arduo.
Non consolerà affatto i parenti, ma è pur vero che, dall’altra parte, sono decina di migliaia i palestinesi ai quali sarà impossibile dar degna sepoltura ai propri cari, sepolti sotto cumuli di macerie. A maggior sfregio, su quelle macerie lorde di tanto sangue dovrebbe ergersi la meravigliosa Riviera di Gaza… tant’è.
Piccolenote è collegato da affinità elettive a InsideOver. Invitiamo i nostri lettori a prenderne visione e, se di gradimento, a sostenerlo tramite abbonamento.