Il Nobel per la pace trasformato in Nobel per la guerra

Il Nobel per la pace non è stato assegnato a Trump, né era possibile nonostante tanti abbiano solleticato il suo narcisismo che l’aveva portato a pretenderlo, dal genocida Netanyahu (Timesofisrael), per la tregua a Gaza, passando a Zelensky, che si è detto pronto a sostenerne la candidatura se invierà i missili Tomahwak in Ucraina (Politico) – cioè se aumenterà le probabilità di una guerra nucleare.
Ma, in qualche modo, l’ha vinto per interposta persona dal momento che è stato assegnato a María Corina Machado, leader dell’opposizione venezuelana che in questo modo è stata incoronata reginetta del suo Paese. Pronta, cioè, a essere il volto nuovo del regime-change che l’amministrazione Trump intende realizzare a Caracas.
Così il Nobel per la pace è stato militarizzato per supportare una guerra che appare sempre più prossima. Da tempo, infatti, l’amministrazione Trump, sotto la spinta di Marco Rubio, sta accumulando forze contro il Venezuela, ufficialmente per contrastare il narcotraffico.
Alle prime navi da guerra se ne sono aggiunte progressivamente altre, tra cui un sommergibile, e ieri è arrivata una nave adibita alle operazioni speciali, mentre una squadriglia di F-35 è stata inviata in una base di Porto Rico.
Le forze statunitensi hanno già affondato alcune imbarcazioni venezuelane che sarebbero state usate per il narcotraffico, accusa non verificata e che non giustifica un crimine del genere, che peraltro è un atto di guerra.
Due giorni fa, poi, l’affondamento di un naviglio della Colombia, che dovrebbe essere fuori dal mirino degli Stati Uniti, ma che sembra esserci entrata a causa del sostegno accordato dal presidente Gustavo Petro al Venezuela (peraltro, la nave colombiana è stata affondata poco dopo la decisione di Petro di espellere la delegazione israeliana dal suo Paese in reazione al sequestro della Samud Flottilla, decisione che non è certo passata inosservata a Washington).
Di ieri, poi, l’indiscrezione che l’amministrazione Trump intenderebbe colpire target non più solo in mare, ma sul territorio venezuelano. Minacce che arrivano dopo quelle pregresse, tra cui quella esplicita di adire a un golpe contro Nicolás Maduro, e che seguono la decisione di interrompere i negoziati avviati con il Venezuela per ricomporre le tensioni in atto.
Curiosamente, il giorno precedente l’interruzione dei negoziati, Jorge Rodríguez, a capo dell’Assemblea nazionale venezuelana e della delegazione preposta alle trattative, aveva comunicato in una nota che “attraverso ‘tre diversi canali’, gli Stati Uniti erano stati avvertiti ‘di una grave minaccia’ da parte di gruppi di destra che si spacciavano per seguaci del presidente venezuelano Nicolás Maduro”.
Si trattava di un piano per compiere un attentato contro l’ambasciata Usa in Venezuela che, cessata l’attività diplomatica, ospita però personale addetto alla manutenzione e alla sicurezza dell’edificio. Sarebbe stata la scintilla per un attacco.
Se si sta alla tempistica, sembra che l’allarme pubblico del capo della delegazione venezuelana abbia irritato l’amministrazione Usa, che si è vista privare di un casus belli, la quale ha deciso di evitare ulteriori rapporti con la controparte.
Ora è arrivata, a fagiolo, la figura che ha il phisique du rôle per sostituire Maduro, baciata da un endorsement più che autorevole: il Nobel per la pace. La Machado ha così preso il posto di Juan Guaidò come figura immagine per promuovere il regime-change di Caracas, con il Nobel che gli conferisce la visibilità necessaria a diventare l’ancella del cambiamento.
L’unico Paese, oltre al suo, nel quale aveva certa notorietà prima di ieri erano gli Stati Uniti, tanto da partecipare agli incontri dell’Americas Society/Council of Americas (AS/COA), un centro di interessi fondato da David Rokefeller. In quella sede, nel giugno scorso, squadernava la meravigliose opportunità che offriva il suo Paese una volta rimosso Maduro e avviato “una cambiamento strutturale”.
Il Venezuela, non ha solo le riserve petrolifere “più ingenti del mondo”, ma “anche abbondanti risorse di ferro, oro e minerali” vari e sovrabbonda di “terre fertili non sviluppate”. Nel caso avesse termine l’attuale governo, aggiungeva, in “soli 100 giorni” tutto ciò sarebbe a disposizione degli “investitori esteri, che ne beneficeranno, sin dal primo giorno, avvalendosi di condizioni senza precedenti”… un piano che porterà a creare ricchezza per “1000 miliardi di dollari” in pochi anni, come da titolo del report dell’incontro al AS/COA.
Un piano di privatizzazione ultraliberista, al modo di quello applicato dai Chicago Boys nel Cile di Pinochet. In una nota pregressa spiegavamo che, come recitano documenti ufficiali Onu e Usa, la droga che arriva negli States non proviene dal Venezuela. L’interesse dell’amministrazione Trump per Caracas è tutt’altro. La Machado lo ha spiegato molto bene.
Appena vinto il Nobel, la Machado ha chiamato il suo alleato politico Edmundo González Urrutia, che a gennaio 2025 sfidò e perse le presidenziali contro Maduro, accusandolo poi di brogli che gli avrebbero tolto la vittoria.
Nell’occasione, Urrutia e la Machado ricevettero la telefonata del ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar, con genocidio palestinese in corso, che elogiava la loro asserita vittoria elettorale, con la Machado che si felicitò per il “sostegno del governo di Israele al popolo venezuelano”.
D’altronde i rapporti tra la Machado e Israele sono consolidati: nel 2020 siglò a nome del suo partito, Vente Venezuela, un’alleanza strategica col Likud mentre, in un’intervista successiva a una Tv israeliana, dichiarò che se avesse vinto le elezioni avrebbe spostato l’ambasciata venezuelana a Gerusalemme.
In quest’anno si poteva conferire il Nobel per la pace a qualcuno che si fosse distinto nel portare sollievo ai palestinesi. Si è scelto altro.
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