12 Luglio 2022

Il fallito golpe ucraino e le visite di Biden e Putin in Medio oriente

Il fallito golpe ucraino e le visite di Biden e Putin in Medio oriente
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Boris Johnson e Volodymyr Zelensky

Il dimissionario Boris Johnson ha svolto un ruolo di primo piano nella guerra Ucraina. Riportiamo quanto scriveva venerdì scorso Gian Micalessin sul Giornale: “Perché se Boris non avesse dato carta bianca alla propria «intelligence» e alle proprie «forze speciali», Zelensky non sarebbe certo sopravvissuto al «pronunciamento» dei generali ucraini che il 24 febbraio scorso doveva garantire – nelle previsioni (sbagliate) dell’Fsb – l’instaurazione di un governo filo russo. E se non fosse stato per Boris il presidente ucraino avrebbe probabilmente dato ascolto a chi da Washington suggeriva di portarlo via dalla capitale”.

“Grazie all’insistenza di un BoJo convinto di essere un novello Churchill, il presidente-comico non solo respinse le profferte Usa restando al proprio posto, ma si trasformò in un leader-guerriero capace di galvanizzare i propri combattenti. Non a caso, ieri, [giorno delle dimissioni di Boris, ndr] uno dei primi a farsi sentire è stato proprio Zelensky ricordando l’amico e l’alleato dei «momenti più difficili»”.

In tal modo Micalessin, che segue da anni le vicende ucraine, riporta parte di quanto avevamo scritto in note pregresse, cioè che l’invasione russa doveva chiudersi in fretta grazie a un colpo di Stato dell’esercito ucraino.

Nella nostra ricostruzione spiegavamo che l’idea del colpo di Stato non nasceva da un banale accordo segreto dei russi con i vertici dell’esercito ucraino: non sarebbe stato sufficiente a garantirne il successo, data la forte presenza, neanche troppo segreta, della Nato nel Paese.

Si trattava piuttosto di un accordo più o meno tacito con quella parte dell’amministrazione Usa che aveva tentato, in tal modo, di risolvere il nodo gordiano dell’Ucraina, che metteva a rischio la pace mondiale, com’è più evidente adesso che l’inevitabile guerra è scoppiata (già, “inevitabile”, come da cablogramma dell’attuale capo della Cia William Burns; sul punto vedi anche l’intervista del consigliere di Zelensky, Oleksiy Arestovych e le magiche strategie di Zbiegnew Brzezinski).

Questo spiega la richiesta americana a Zelensky di abbandonare Kiev per Leopoli, che avrebbe così lasciato campo libero ai golpisti e tanto altro (per maggiori dettagli, rimandiamo a Piccolenote).

Probabile che l’accordo fosse stato stipulato con Biden (e altri, magari il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan…) che subito dopo l’invasione russa, è stato rimesso in riga con lo scandalo del personal computer del figlio Hunter, che i media mainstream, al tempo, avevano invece insabbiato (Washington Post).

Ovviamente, non fu solo Boris a mandare in fumo l’indicibile intesa, ma il prevalere, nell’amministrazione Usa, dei falchi (neocon, liberal clintoniani, apparato militar-industriale, etc.), che probabilmente avevano lasciato fare alla fazione opposta per attirare Putin in trappola (magari con qualche complicità russa, cosa che spiegherebbe l’arresto del capo della Fsb, non spiegabile con un semplice errore di calcolo, per il quale sarebbe bastata la destituzione).

Ma, al di là dell’indicibile, resta la guerra, che si trascina con la sua macelleria. Certo, Boris ha avuto un ruolo nell’aprire tale macelleria, ma anche lui era sotto schiaffo per il Partygate, sparito dalle cronache dopo il suo ingaggio nella crociata anti-russa.

Sperava, il povero Boris, che consegnarsi al potere dominante gli avrebbe garantito un’immunità imperitura. Ma, nonostante sia abbastanza intelligente, al netto delle stravaganze, evidentemente non conosce le dinamiche interne del potere a cui si è asservito.

Benché avesse svolto la sua missione con zelo, Boris restava comunque inaffidabile per tale potere, data la sua singolarità. E soprattutto era a rischio: una vittoria di Trump alle elezioni di midterm americane avrebbe dato al premier britannico nuovi spazi di manovra. Avrebbe potuto, cioè, divincolarsi dalla presa e portare la Gran Bretagna fuori dagli schemi attuali. E magari anche fuori dalla guerra ucraina.

Solo un’eventualità, ovvio, ma anche la sola eventualità era inaccettabile. Da qui il siluramento attuale. Le sue dimissioni, che sta tentando disperatamente di procrastinare, hanno aperto la corsa alla successione.

Tra i tanti papabili va forte l’attuale ministro degli Esteri Liz Truss, che si presentò a un incontro con Sergej Lavrov (si era prima della guerra) con un colbacco in testa, nonostante il fatto che a Mosca facesse più caldo che a Londra. E, nel dialogo col ministro fu ferrea nel condannare le manovre militari russe presso una città ucraina, con l’ambasciatore britannico costretto a spiegarle all’orecchio che si trattava di una città russa.

Un identikit perfetto per il potere che sta alimentando la macelleria ucraina: la scarsa intelligenza è una dote che apprezza moltissimo (il governo italiano ne è un fulgido esempio).

Peraltro, anche gli altri candidati alla premiership britannica, per avere più chance di vittoria, stanno facendo fervidi voti al dio Marte. Così, sperare che un cambio di guardia a Londra possa dare ridare slancio alla diplomazia è arduo. Vedremo, spes ultima dea.

Intanto, questa Terza guerra mondiale in scala ridotta – per ora – vede un nuovo sviluppo. Mentre Biden vola in Medio oriente per rilanciare la presenza americana nella regione e piatire un po’ di petrolio, Putin va a Teheran per un vertice con il presidente iraniano Raisi e quello turco Erdogan.

Già, Erdogan, che la Nato sperava di aver portato dalla sua parte… Il fatto  è che, a differenza del biondo premier britannico, il presidente turco sa bene come funziona il gioco, e sa che, anche se si consegnasse del tutto al potere che lo blandisce, resterà sempre inaffidabile.

È sopravvissuto a un golpe nel 2016, non sopravvivrebbe al secondo. Così, pur concedendosi alla Nato, continua a giocare in proprio, perseguendo il suo sogno neo-ottomano e garantendosi le spalle grazie a Putin, che lo salvò dal primo golpe avvertendolo in tempo (tramite l’Iran).

All’eventuale creazione di una Nato mediorientale anti-iraniana (scopo recondito del viaggio di Biden, ma di ardua realizzazione), la Russia risponde rinsaldando i suoi rapporti con le altre due potenze regionali.

Questa guerra mondiale fatta a pezzi è solo all’inizio e riserva sorprese. Per lo più sgradite.

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