31 Gennaio 2022

Il fausto compromesso del Colle

Il fausto compromesso del Colle
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È andata bene, dal momento che le possibilità di ascesa al Colle di personaggi nefasti erano altissime, dati gli equilibri e gli squilibri in campo. Sia le alternative reali (non quelle proposte dalla destra, destinate ab initio al fallimento) a Draghi, che lo stesso tecno-finanziere, dovranno attendere un’altra tornata per riprovare la sorte, sempre se il tempo, variabile non secondaria della politica, glielo concederà.

E anche se pochi lo dicono apertamente, appuntandosi le critiche solo sulla classe politica, oltre alle alternative occulte, è proprio Draghi il grande sconfitto di questa contesa.

Infatti, ne è uscito ridimensionato non solo per la sconfitta, ma anche per le modalità con cui è avvenuta, che ne hanno palesato i limiti prima nascosti dalla piaggeria dilagante.

Anzitutto non si è reso conto che quanti avevano fatto pressioni debite e indebite su Mattarella per insediarlo a Palazzo Chigi lo volevano silurare, cosa che era ovvia da mesi, da quando cioè era iniziato a diffondersi il refrain che egli era talmente importante per l’Italia che doveva restare a capo del governo.

Solo questa scarsa propensione alla lungimiranza spiega il fatto che ha continuato a prendere i politici a calci negli stinchi, perseverando nella posa dell’uomo solo al comando.

Era ovvio che, potendo almeno in un’occasione esercitare la propria libertà, e non essendo per fortuna ancora votati al masochismi estremo, i politici che ha vilipeso per tutti questi mesi non l’avrebbero votato (almeno non il numero sufficiente).

Ha raccolto, cioè, quel che ha seminato, dimostrando così i limiti che pure su questo sito avevamo evidenziato al tempo in cui per tutti i media era ancora un semidio disceso in terra a miracol mostrare.

Detto questo, tale bagno di umiltà, affatto nuovo per il personaggio, può fargli bene e può far bene all’Italia. Ridimensionato, potrebbe iniziare (condizionale d’obbligo) a esercitare il suo mestiere non più come un autocrate, ma come un presidente del consiglio, come da dettato dalla Costituzione italiana.

Peraltro, se vuole riprovare l’ascesa al Colle, dovrebbe aver imparato due regole basilari: la prima è che non ci si auto-candida pubblicamente, la seconda è che servono i voti.

Sulla classe politica e sullo spettacolo di questi giorni si è scritto tanto ed è inutile tornarci su, anche se certe considerazioni negative sono del tutto sciocche quando non strumentali, anzitutto quella ricorrente sulla lunghezza dei tempi per la scelta.

I tempi lunghi son ovvi e anche salutari, non trattandosi dell’elezione di un amministratore di condominio, ma di altro. Al contrario, i tempi brevi rischiano di produrre mostri, come avvenne con l’elezione di Oscar Luigi Scalfaro, il peggior presidente della Repubblica italiana, insediatosi sotto l’urgenza della strage di Capaci.

Sulla classe dirigente si è detto di tutto, appuntandosi gli strali però per lo più sull’emiciclo destro, che certo in alcune figure non ha brillato per equilibrio. È però indubbio che anche l’emiciclo sinistro abbia mostrato tutta la sua inanità, basta vedere le candidature proposte da tale ambito, snocciolate candidamente dal segretario Enrico Letta, il quale ha spiegato di averle sussunte “dai giornali”.

Già, proprio quei giornali che non rappresentano da anni il Paese, come dimostra il collasso costante delle loro vendite, ma solo delle ristrette consorterie consegnate al potere dei loro proprietari e del momento (e dei loro proprietari del momento), in particolare su temi tanto sensibili come il Quirinale.

Così l’impotenza, la povertà e l’inanità dell’assise hanno dato vita a un compromesso, che spesso, al contrario di quanto da anni pontificano i giornali di cui sopra, nella politica è un bene, come anche nella vita, essendo un superamento della lotta continua.

E il compromesso si chiama Mattarella, che nei sette anni precedenti, a parte lo strappo dell’insediamento di Draghi – forse più subito che voluto – ha rappresentato un punto di garanzia e di equilibrio.

Come al solito, è la vituperata Prima Repubblica a dover salvare la inquieta e inquietante Seconda, nonostante i media mainstream, quelli che vengono interpellati a mo’ di sibille per attingervi improbabili o discutibili figure quirinalizie, la raccontino in maniera distorta e infamante, ormai prigionieri delle loro stesse narrazioni.

Chiuso il capitolo Colle, con conseguenze intra-partitiche tutte da scoprire, resta che il futuro per l’Italia non è certo roseo. Ma a ogni giorno basta la sua pena e per il momento va bene così.

Di questi giorni si ricorderanno tante cose, più o meno (s)gradevoli, ma almeno per qualche momento il Paese ha prestato attenzione ad altro, allentandosi così la presa dell’angosciante quanto martellante narrazione pandemica. Un altro punto a favore del romanzo quirinale.

Ps. Al di là dei suoi limiti, stupiscono le critiche alla nostra classe politica da parte di altri Paesi europei. In realtà, non è che altrove stiano così bene, con un candidato all’Eliseo che non vuole mandare i disabili a scuola, un ministro degli Esteri tedesco determinato chiudere i rubinetti del gas ai cittadini europei solo per fare un dispetto a Putin e un premier britannico sorpreso a far party durante i lockdown. A ciascuno il suo, dai.

 

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