9 Settembre 2025

Usa vs Venezuela: questione di petrolio, non di droga

di Davide Malacaria
Usa vs Venezuela: questione di petrolio, non di droga
Tempo di lettura: 4 minuti

Gli Usa tornano alla politica delle cannoniere: nel mirino il Venezuela, accusato di gestire il narcotraffico verso gli States. Dopo le minacce e la taglia di 50 milioni sul presidente Maduro è arrivata la U.s. Navy. Primo squillo di tromba, l’affondamento di un’imbarcazione con 11 persone a bordo, attaccata perché ritenuta “minaccia immediata alla sicurezza” nazionale, nonostante  il Capo del Dipartimento di Stato Marco Rubio – che ha una passione per i regime-change nei Paesi latinoamericani – abbia detto che era diretta a Trinidad

Sull’illegittimità di uccidere senza processo e prove dei presunti criminali rimandiamo a un approfondito articolo di Responsibile Statecraft, in questa sede interessa altro.

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È dall’inizio della presidenza che Trump ha avviato una lotta dura contro il narcotraffico, affiancando al brutale repulisti interno un’aggressiva politica estera: prima le accuse alla Cina per l’asserito traffico di Fentanyl, poi il Messico, contro il quale è iniziato a risuonare il tintinnio di sciabole che oggi richeggia al largo delle coste venezuelane.

Inutile sottolineare che si tratta di un pretesto per prendere il controllo di un Paese sul quale i gringos tentano di mettere le mani dai tempi di Chavez con sanzioni e tentati golpe. Il motivo è il solito: il Venezuela galleggia su un mare di petrolio, le riserve più ingenti del pianeta.

Venezuela has the world’s most oil: Why doesn’t it earn more from exports?

Per la cronaca, alle cannoniere si sono aggiunti gli F-35 inviati a Porto Rico, dove ieri sono sbarcati il Segretario per la Guerra Pete Hegseth e il Capo degli Stati Maggiori congiunti, generale Dan Caine. Visita che non promette nulla di buono.

Nel frattempo Maduro ha chiamato a raccolta il popolo e riposizionato il suo esercito a presidio della frontiera colombiana, dalla quale teme sorprese, dal momento che lo Stato confinante da tempo è usato dagli strateghi Usa per il lavoro sporco, non ultimo arruolare mercenari per Kiev.

Maduro ha il sostegno del governo colombiano, con il presidente Gustavo Petro che ha inviato i suoi soldati alla malmostosa frontiera perché collaborino con quelli venezuelani nel presidiarla e combattere i narcos che vi si annidano. Né è mancata la soliderietà del Brasile, con Lula che ha criticato l’attivismo di Washington.

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Senza forze di terra dalla Colombia, Washington non può invadere, ma solo tentare un regime-change forzato dalla pressione militare, opzione che Hegseth non ha escluso. Per Roger D. Harris, fondatore del Venezuela Solidarity Network, gli Usa starebbero preparando attacchi mirati contro esponenti del governo in un’operazione di decapitazione in stile Israele.

Ma, al di là delle fumisterie di Hegseth e delle ossessioni di Rubio, non sarà facile come immaginano. Né sarebbe facile, anche in caso di successo, sfruttare il petrolio venezuelano, ché un governo filo-guidato dai gringos innescherebbe una guerriglia di difficile contrasto nella selva venezuelana.

In attesa di sviluppi, resta che il Venezuela non è il dominus del narcotraffico degli States. Ed è bizzarro che a rivelarlo non è solo Caracas, ma l’intelligence Usa…

Così al Jazeera: “L’amministrazione Trump non ha fornito alcuna prova che colleghi Maduro al Tren de Aragua o ad altri cartelli della droga […] Anche la comunità dell’intelligence statunitense ha contraddetto le affermazioni dell’amministrazione Trump […]. Una valutazione riservata del Consiglio nazionale dell’intelligence di aprile ha ripetutamente rilevato che non ci sono prove di un coordinamento tra il Tren de Aragua e il governo Maduro […]”.

E ancora: “Secondo il World Drug Report, pubblicato quest’anno dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine organizzato (UNODC), nel 2023 la produzione globale di cocaina ha raggiunto un livello record […] con un aumento di quasi un terzo rispetto all’anno precedente”.

“Il rapporto dell’UNODC osserva che la maggior parte delle piantagioni di coca, da cui si ricava la cocaina, si trovano in Colombia, quindi in Perù e Bolivia”, mentre “le più importanti rotte del traffico della cocaina diretta negli Stati Uniti nel 2023 e nel 2024 interessavano Colombia, Perù ed Ecuador e non il Venezuela”.

“‘Il Venezuela viene utilizzato come ‘corridoio di transito’ per la cocaina colombiana diretta verso i Caraibi orientali’, ha dichiarato Salvador Santino Regilme, professore associato presso l’Università di Leida. ‘Ma la rotta marittima principale della cocaina diretta negli Stati Uniti resta il Pacifico orientale, interessando Messico e America Centrale […]'”.

Inoltre, il rapporto del 2024 della Drug Enforcement Administration (DEA) Usa rileva “che la Colombia è la principale fonte della cocaina sequestrata dagli Stati Uniti. Circa l’84% della cocaina sequestrata negli Usa proveniva dalla Colombia. Il rapporto non menziona il Venezuela”.

Insomma, in Venezuela gli Usa non cercano droga, ma petrolio. Se davvero volessero contrastare il narcotraffico dovrebbero guardare meglio in casa propria. Infatti, gli Stati Uniti, aggiunge Harris “sono il Paese con il più alto consumo di droga al mondo e forniscono ai cartelli la maggior parte delle armi e dei precursori chimici”.

Inoltre, sono il Paese che più “ricicla il lucro generato dal narcotraffico; tra le principali banche statunitensi coinvolte in tale crimine figurano HSBC Bank USA, Wachovia, Wells Fargo e Bank of America. Inoltre, sentiamo parlare in continuazione dei boss della droga latinoamericani, ma ignoriamo chi distribuisce la droga quando attraversa il confine”.

“Una ricerca del giornalista messicano Jorge Esquivel dimostra che nessuna amministrazione statunitense ha mai indagato seriamente sulle reti nazionali del narcotraffico”. Né lo sta facendo l’attuale, che peraltro, secondo Harris, potrebbe vedere nella guerra in Venezuela un’occasione per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dal caso Epstein, che tanto l’affatica. Del caso, Trump seguirebbe le orme del suo odiato predecessore Bill Clinton, che dilavò lo scandalo Lewinsky nel sangue della guerra balcanica (New York Times).

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