29 Luglio 2022

Il summit Xi - Biden e la sfida della Pelosi a Taiwan (e Biden)

Il summit Xi - Biden e la sfida della Pelosi a Taiwan (e Biden)
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Xi e Biden hanno parlato per due ore, ma non è andata benissimo per quest’ultimo, che cercava un modo per allentare la stretta dell’inflazione grazie all’aiuto cinese.

Troppe le tensioni, che non porteranno quell’aiuto che Biden sta disperatamente cercando per le elezioni di Midterm e che l’ha portato anche ad abbracciare (metaforicamente) il principe saudita Mohamed bin Salman, nonostante l’avversione pregressa.

Xi – Biden: trattative sui dazi

Al di là delle ricostruzioni surreali, secondo le quali con il colloquio Biden voleva sincerarsi che la Cina non aiutasse la Russia, cosa impossibile, e delle ovvie rimostranze di Xi per l’annunciata visita della Pelosi a Taiwan, quel che voleva il presidente americano era concordare un allentamento dei dazi imposti alla Cina da Trump, per alleviare le esangui casse americane.

Se intende concordare con Xi una decisione che può prendere unilateralmente è perché l’iniziativa abbia più efficacia possibile e per tentare di strappare al suo interlocutore qualcosa in più, vendendo tale decisione come un atto di distensione al quale corrispondere.

I team delle due nazioni cercheranno di dare un qualche risultato in tal senso al summit, ma è davvero difficile immaginare che Biden possa fare più di tanto. Troppa l’avversione contro la Cina tra le élite americane per prendere decisioni eclatanti.

A questo riguardo appare ben strano l’annuncio della visita di Nancy Pelosi a Taiwan, che ha infastidito Biden tanto da lasciarsi andare a una pubblica reprimenda.

Tensione altissima quella innescata dalla speaker della Camera. La Cina ha affermato di essere pronta a una risposta forte, non escludendo quella militare che, anche se al momento appare aleatoria, può concretizzarsi in qualche iniziativa simbolica, come l’invio di jet da combattimento per scortare la Pelosi (come farebbero gli Usa se il ministro degli Esteri cinese andasse a incontrare il leader di un movimento indipendentista negli Stati Uniti).

Posizione ribadita da Xi durante il colloquio con Biden, al quale ha detto di “non giocare col fuoco”. Tali avvertimenti sono stati presi con imbarazzante leggerezza, come nel caso di quelli di Putin sull’Ucraina. Consegnati ai loro deliri di onnipotenza, le élite Usa pensano che nessuno possa dire loro di no.

E dato che Biden non ha evidentemente difeso a spada tratta la Pelosi nel colloquio con Xi, lo ha fatto il Pentagono, che subito dopo ha emanato un comunicato minaccioso sulla possibilità di far alzare in volo i jet da combattimento per difenderla (peraltro, la Pelosi non corre alcun rischio).

Tale la follia innescata da questa donna in carriera, che potrebbe far deflagrare una guerra che porterebbe alla morte decine di migliaia di persone, per lo più taiwanesi (se andrà bene…).

In attesa di vedere gli sviluppi di tale follia, si può annotare che prima che contro la Cina, la sfida della Pelosi è contro il presidente americano, del quale in tal modo denuncia la debolezza.

Una sfida che sembra motivata dall’intenzione della leadership del partito democratico di accantonare il vecchio, come chiedono i i media mainstream Usa. L’idea è di far correre un altro nel 2024 e, con la sua postura wagneriana, la Pelosi si è candidata.

La speaker della Camera spera di portare dalla sua quell’ambito repubblicano che chiede un ingaggio anche militare contro la Cina, cosa che Trump, sempre se parteciperà alle elezioni, è riluttante a fare.

Un calcolo che sembra avere successo. Così il New York Times: “Alti funzionari dell’amministrazione Trump, tra cui l’ex segretario di Stato, Mike Pompeo, e l’ex segretario alla Difesa, Mark Esper, hanno detto che vorrebbero unirsi a lei. Pompeo ha twittato che […] sarebbe felice di accompagnare la Pelosi a Taiwan”.

Tutto ciò torna anche con il tweet di Hillary Clinton pubblicato subito dopo l’annuncio che il presidente era stato contagiato dal Covid: una foto della sua campagna elettorale e la scritta “in movimento”.

La Pelosi è una fotocopia dell’ex Segretaria di Stato, da cui l’endorsement della Clinton (la quale, però potrebbe anche reputare che la Pelosi stia portando semplicemente acqua al mulino di una sua ricandidatura).

Oppure, ipotesi B, si potrebbe paventare uno scenario più ravvicinato. Dopo la sconfitta alle Midterm, che la postura della Pelosi rende più possibile, il partito democratico potrebbe esautorare Biden (tanti i modi, tra cui la mancanza di lucidità mentale…).

Tale processo potrebbe concretizzarsi in due modi: o allontanare l’incompetente Kamala Harris per imbarcare un altro Vice che prenda il posto di Biden o portare Kamala alla presidenza, ma commissariata.

Insomma, anche la Pelosi è “in movimento”. Un movimento che l’ha messa in rotta di collisione col povero vecchietto il quale aveva pensato che, dalla Casa Bianca, potesse rimettere a posto un po’ di guai combinati nel passato (votò a favore dell’intervento in Iraq…), prima di dover rendere l’anima a Dio.

Voleva porre fine alle guerre infinite, ma dopo aver ritirato l’America dall’Afghanistan si è trovato impelagato nella guerra ucraina, sulla quale può soltanto frenare i falchi che vogliono un maggiore impegno, affannandosi a dichiarare che non vuole la Terza guerra mondiale.

Né è riuscito a portare a compimento il ripristino dell’accordo sul nucleare iraniano, priorità del suo mandato. Troppo debole e troppo ricattabile (i guai del figlio Hunter) per portare a compimento quanto si riprometteva. E ora, quanti l’hanno usato per abbattere Trump, lo vogliono destinare ai giardinetti.

 

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