27 Novembre 2025

Israele e AIPAC: doppia sfida a Mosca e Pechino

di Claudia Carpinella - DM
Israele e AIPAC: doppia sfida a Mosca e Pechino
Tempo di lettura: 4 minuti

Mentre l’Europa fatica a prendere una posizione su quanto accade a Gaza, Israele si sta muovendo sullo scacchiere internazionale alla ricerca di nuove convergenze diplomatiche e militari in due aree estremamente sensibili per Mosca e Pechino: i Paesi Baltici e Taiwan.

Da un lato, come ha rivelato Responsible Statecraft, “Estonia, Lettonia e Lituania hanno offerto un abbraccio politico e militare senza precedenti a Israele proprio nel momento in cui quest’ultimo è accusato davanti alla Corte Internazionale di Giustizia di un possibile genocidio”.

ideon Sa'arBaltics' big bear hug of Israel is a strategic blunder

Dall’altro, il Times of Israel racconta come il presidente di Taiwan, Lai Ching-te, guardi apertamente a Israele come modello militare, invocando il mito biblico di “Davide contro Golia” per descrivere la sfida di Taipei verso Pechino.

Queste due traiettorie rivelano un disegno più ampio: Israele sta costruendo nuove alleanze in zone dove la sua presenza non era mai stata così marcata, entrando di fatto nel “ventre molle” delle sfere d’influenza strategica di Russia e Cina.

I Baltici e la contraddizione che li delegittima

Lo scorso 20 novembre il ministro degli Esteri estone, Margus Tsahkna, ha accolto il suo omologo israeliano Gideon Sa’ar per inaugurare l’ambasciata israeliana a Tallinn. Durante la cerimonia, Tsahkna e il ministro degli Esteri lettone, Baiba Braze, hanno ribadito il “diritto di Israele all’autodifesa”. Una formula che non regge più da tempo, dopo centinaia di migliaia di persone uccise nella Striscia di Gaza e dopo le ripetute violazioni del cessate il fuoco.

Secondo Responsible Statecraft, i “Paesi Baltici si sono spinti in un’operazione diplomatica che appare tanto rischiosa quanto incoerente”. Lettonia, Lituania ed Estonia, infatti, “hanno costruito tutta la loro identità politica post-sovietica sul rispetto dell’ordine internazionale e sulla condanna assoluta dell’aggressione russa”. Eppure, di fronte a Israele, “questi stessi principi svaniscono”.
L’ipocrisia moralistica di figure come Kaja Kallas e altri leader baltici emerge con particolare evidenza quando, da un lato, ammoniscono i partner europei “sull’esigenza di un sostegno incrollabile all’Ucraina” in difesa del diritto internazionale, mentre dall’altro ignorano il fatto che la Corte penale internazionale abbia incriminato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per crimini di guerra — e non solo il presidente russo Vladimir Putin.

Ma questa incoerenza, osserva ancora Responsible Statecraft, non è solo un fallimento morale: è un errore strategico. I Baltici stanno corteggiando un Paese “i cui interessi sono infinitamente più legati alla sua relazione con la Russia che a essi”. La principale preoccupazione di Israele, infatti, non è sostenere l’Ucraina, bensì impedire a Teheran di riarmarsi e, in particolare, di ricostruire le sue difese aeree dopo la guerra del giugno scorso.

La Russia dispone di capacità che potrebbe mettere al servizio dell’Iran per rafforzarne le difese. Lo ha detto anche il viceministro degli Esteri, Sergey Ryabkov, il quale ha dichiarato che, poiché Mosca non riconosce il ripristino (lo “snapback”) delle sanzioni ONU contro Teheran, è pronta ad ampliare la cooperazione tecnico-militare con la Repubblica islamica.

Anche se la portata effettiva di questa cooperazione resta da verificare, la sola possibilità è fonte di seria preoccupazione per Israele. È per questo che Tel Aviv ha costantemente “coltivato relazioni pragmatiche e cordiali con Mosca, nel tentativo di ridurre al minimo il sostegno russo all’Iran”. Una dinamica descritta ampiamente nelle memorie dell’ex capo del Mossad, Yossi Cohen, che tratteggia Putin come un maestro di strategia quanto attento alle esigenze israeliane.

Taiwan: il nuovo laboratorio della dottrina militare israeliana

Il Times of Israel illumina l’altra metà di questa strategia: la penetrazione diplomatica e militare di Israele nel cuore dell’Indo-Pacifico, proprio dove la Cina percepisce ogni interferenza esterna come una minaccia esistenziale. Nel suo discorso all’AIPAC – la lobby filo-israeliana statunitense – il presidente taiwanese Lai Ching-te ha tracciato un parallelo esplicito tra Taipei e Tel Aviv, evocando l’immagine di “Davide contro Golia” per descrivere la sfida a Pechino.

Ha presentato Israele come un modello strategico di sopravvivenza e deterrenza, anticipando la nascita del T-Dome — una versione taiwanese dell’Iron Dome israeliano — e delineando l’idea di una cooperazione trilaterale con Stati Uniti e Israele su tecnologia, difesa e intelligence.

Un messaggio rivolto a Pechino: Taiwan abbraccia apertamente la dottrina israeliana della “pace attraverso la forza”. Ma è anche un messaggio a Washington: “Israele è pronto a giocare un ruolo centrale nel contenimento della Cina proprio mentre gli Stati Uniti cercano nuovi attori capaci di sostenere il fronte indo-pacifico”. Non a caso, subito dopo la prima visita ufficiale di una delegazione AIPAC a Taipei — un evento senza precedenti — Washington ha sbloccato un pacchetto da 330 milioni di dollari in armi a Taiwan, la prima vendita del nuovo mandato Trump.

L’impressione è chiara: Israele si propone come fornitore globale di sicurezza militare nelle aree più sensibili del pianeta. E chi decide di accoglierlo, come Taiwan, finisce per internalizzare la sua stessa dottrina di guerra.

Allo stesso tempo, sembra muoversi come una potenza globale, arrivando addirittura a sfidare più o meno apertamente Russia e Cina, sicura di poter contare sul golem americano. Ma anche una sfida a Trump, che al contrario dei liberal-neocon con cui Tel Aviv ha un filo diretto, sta tentando un appeasement con Mosca e Pechino, come dimostra la spinta a chiudere la guerra ucraina e il rapporto instaurato con Xi Jinping.

Di ieri, infatti, la telefonata tra Trump e il suo omologo cinese per venire a capo dello sfoggio muscolare del nuovo premier giapponese Sanae Takaichi, che ha minacciato un intervento nipponico nel caso in cui la Cina invadesse Taiwan, riaccendendo la conflittualità con il potente vicino che il tempo aveva sedato.

Peraltro, dopo la telefonata distensiva Trump-Xi, il presidente di Taiwan Lai Ching-te ha annunciato che l’isola stanzierà una cifra monstre, 40 miliardi di dollari, per la difesa, rilanciando la duplice sfida.

 

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