Lo scontro sul piano di pace per l'Ucraina
Tempo di lettura: 5 minuti“Non vedo l’ora di incontrare presto il presidente Zelensky e il presidente Putin, ma solo quando un accordo per porre fine a questa guerra sarà definitivo o nelle sue fasi finali”, ha scritto Trump su Truth social.
Questa la reazione alla richiesta di Zelensky che voleva incontrarlo insieme ai leader europei alla Casa Bianca, riproponendo il format che aveva già fatto fallire i negoziati precedenti. Un secco niet al presidente ucraino e ai “volenterosi” europei a trazione britannica che stanno tentando in tutti i modi di infilarsi-infiltrarsi nella trattativa per vanificarla.
Inoltre, Trump ha annunciato che Witkoff incontrerà presto Putin a Mosca e che il segretario dell’esercito Driscoll incontrerà i leader ucraini a Kiev. “Il significato di questa dichiarazione è enorme”, scrive Strana. “Trump ha sventato il piano di Kiev, degli europei e forse di parte della sua stessa amministrazione di approvare l’accordo di pace in 19 punti concordato dalla delegazione ucraina con il Segretario di Stato Rubio a Ginevra”.
Di fatto, anche una sconfessione di Rubio, che aveva annacquato il piano concordato tra Steve Witkoff e i russi in precedenza escludendovi la garanzia che l’Ucraina non aderisse alla Nato, le concessioni territoriali alla Russia – cioè il riconoscimento delle conquiste – e la limitazione dell’esercito ucraino. Di fatto, tutte le condizioni che rendevano il piano accettabile a Mosca.
La Russia l’avrebbe sicuramente rigettato, così che Trump sarebbe stato costretto dalle pressioni del partito della guerra ad addossargli la responsabilità della prosecuzione del conflitto e a sostenere più apertamente Kiev.
Per capire la portata delle dichiarazioni di Trump, Strana cita quanto riporta il New York Post, cioè che il capo dell’ufficio presidenziale, Andriy Yermak, quando le ha lette ne è rimasto “sconvolto”.
Trump, quindi, ha resistito al tentativo di sabotaggio, rilanciando il piano originario con l’annuncio che Witkoff si sarebbe recato la settimana prossima a Mosca e il Segretario dell’Esercito Daniel Driscoll a Kiev per continuare le trattative (quest’ultimo è amico intimo del vicepresidente J. D. Vance e come questi avverso al partito della guerra).
In questa temperie è scattato il secondo tentativo di sabotaggio: la pubblicazione da parte di Bloomberg delle intercettazioni telefoniche relative ai negoziati tra Witkoff e i russi.
Per i particolari delle intercettazioni rimandiamo a un articolo di Vivaldelli su InsideOver. In estrema sintesi, il contenuto delle intercettazioni è stato usato per accusare Witkoff di aver spacciato per americano un piano russo e di aver offerto consigli ai suoi interlocutori per farlo approvare da Trump.
Subito, come probabilmente pianificato al momento di rendere pubbliche le intercettazioni, alcuni esponenti politici, repubblicani e democratici, hanno accusato Witkoff di essere subordinato a Mosca, arrivando ad accusarlo di “tradimento” e a chiederne le “dimissioni“.
Giustamente, alcuni giornalisti non consegnati alla propaganda hanno fatto rilevare che il vulnus vero della vicenda non è tanto il contenuto dell’intercettazione, che Trump ha liquidato spiegando che si tratta di modalità standard di negoziazione, quanto l’intercettazione stessa (sempre InsideOver).
Durissimo Richard Granell, che su X ha postato: “Trovate il leaker [l’autore delle rivelazioni ndr] e licenziatelo immediatamente. Nessuna scusa. Il leaker anonimo rappresenta un rischio per la sicurezza nazionale”.
Ciò che rende molto interessante questo post è il fatto che Granell era stato scelto da Trump all’inizio del secondo mandato per negoziare col Venezuela, per poi essere estromesso – nonostante avesse conseguito alcuni risultati – in favore di Marco Rubio, che ha inasprito il confronto con Caracas. Il fatto che il contrattacco dei trumpiani giunga da un antagonista di Rubio incuriosisce. Infatti, suona come un avvertimento al Capo del Dipartimento di Stato…
È evidente che lo slancio di Trump per chiudere la guerra ucraina – e altro – non ha innescato solo un braccio di ferro con la coalizione dei volenterosi europei e Kiev, ma anche nel cuore dell’Impero.
Alcuni influencer Maga allarmano su un tentativo dell’establishment di portare a segno un colpo di Stato attraverso la CIA. Allarme alquanto nebuloso, ovviamente, ma che in seno all’amministrazione Trump serpeggi una qualche preoccupazione in tal senso lo denota il blitz dell’Intelligence nazionale, guidata dalla fedelissima di Trump Tulsi Gabbard, in un archivio segreto della CIA che custodiva documenti segreti sull’omicidio di JFK (Reuters).
Quanto alla leadership ucraina, se all’inizio aveva tentato di far naufragare il piano di pace senza però contrapporsi apertamente a Trump, sembra essersi irrigidita sotto la pressione dei suoi sponsor esteri, come evidenzia il fatto che Zelensky abbia incaricato Yermak, cioè il più ligio ai dettami dei “volenterosi” europei, di guidare la delegazione preposta al negoziato (un incarico che, peraltro, nelle intenzioni dovrebbe evitargli l’arresto da parte dell’Ufficio anticorruzione ucraino che lo sta braccando nell’ambito dell’inchiesta che ha terremotato la leadership del Paese).
Momento estremamente nervoso, come dimostra l’attentato a due agenti della Guardia Nazionale avvenuto davanti alla Casa Bianca, angolo che in teoria dovrebbe essere il più sicuro degli States. L’attentatore è un afghano rifugiatosi negli Usa dopo il ritiro americano da Kabul.
Si ricordi che sia l’U.S. Army che CIA durante la lunga occupazione dell’Afghanistan hanno gestito personale locale inquadrato in forze pubbliche e occulte (la CIA aveva il suo “esercito fantasma“, l’Unità Zero).
Ma al di là delle domande di cronaca nera, che tali restano e presumibilmente resteranno, rimane l’incertezza sul processo di pace ucraino avviato dalla Casa Bianca. Trump e il suo entourage devono decidere se perserverare sulla via intrapresa, che alimenterà ancor più lo scontro al calor bianco in atto, o rimandare tutto a un momento più propizio.
PS. Dopo aver scritto l’articolo, la rivelazione di Fox News: l’attentatore afghano aveva lavorato per la CIA. Scontro al calor bianco, appunto.







