6 Aprile 2021

Israele, Giordania, Iran: Medio oriente in fermento

Israele, Giordania, Iran: Medio oriente in fermento
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Giorni nervosi in Medio oriente. In Israele si lotta per scegliere chi guiderà il prossimo governo; in Giordania si sventa un golpe e Iran e Usa continuano il loro duello a distanza. Elementi che danno un’idea del nervosismo regionale.

Ma andiamo per ordine. L’elezione in Israele, la quarta in poco più di un anno, ha dato un esito simile alle precedenti, consegnando al Capo dello Stato, Reuven Rivlin, un puzzle di difficile composizione, con due schieramenti contrapposti destra-centro/sinistra incapaci di dare un governo al Paese senza l’appoggio delle forze che ancora non hanno scelto da che parte stare.

Netanyahu incaricato di formare il governo

Netanyahu ha ricevuto per l’ennesima volta l’incarico di formare un governo, ma per riuscire dovrà convincere due partiti di destra riluttanti ad associarsi a lui, cioè Yamina di Bennet e New Hope di Sa’ar, oppure almeno uno di essi e un partito arabo che ha preferito la corsa in solitaria alla lista congiunta con le altre forze arabo-israeliane.

Nel primo caso potrebbe riuscire a convincere Bennet, ma non Sa’ar, che con lui ha un conto personale, dato che si è dato come mission di porre fine al regno decennale del premier.

Nel secondo caso rischia invece la defezione delle forze politiche a lui più fedeli, quelle degli ultra-ortodossi, alle quali è difficile accettare un governo con gli arabi.

Compito arduo, nel quale si ipotizzano colpi a sorpresa, cioè che tenterà di avocare a sé qualche eletto nei partiti altrui. Ma è ovvio che i suoi oppositori vigileranno anche su questo.

Il premier ha 28 giorni per riuscire o passare la mano. Di interesse, sul punto, quanto scrive Yossi Verter su Haaretz: “Nei prossimi 28 giorni, probabilmente vedremo un Netanyahu che non abbiamo mai visto prima; più disperato e pericoloso che mai, senza niente che lo tenga sotto controllo”.

“Sa che alla fine di questa strada non lo attende una quinta campagna elettorale, che lo lascerebbe nella sua situazione preferita: primo ministro di un governo provvisorio e paralizzato. Ma questa volta dovrà probabilmente affrontare un governo Bennett-Lapid. E sarà costretto a trascorrere le sue giornate tra l’opposizione politica e il tribunale” (c’è un processo a suo carico).

In realtà, spesso, in passato, ci è capitato di leggere note simili, che prospettavano cioè l’insuccesso del premier, con previsioni smentite poi dai fatti. Note che, più che fotografare situazioni reali, tendevano a sovrapporre alla realtà le proprie aspettative. Da qui il suggerimento di leggere la nota di Verter con la necessaria cautela, ma di tenerla presente.

Giordania, il golpe sventato

Il nervosismo israeliano trova un corrispettivo nella nazione confinante, la Giordania, dove è stato sventato un golpe contro i reali hascemiti. Oltre a funzionari e militari, sembra che sia stato coinvolto il principe Hamzah bin Hussein, fratellastro di re Abdullah II, finito ai domiciliari.

Il golpe, dicono i giordani, avrebbe goduto dell’appoggio di “entità straniere” che però evitano di esplicitare per attutire rischiose conflittualità.

Così The Indipendent: “Citando fonti giordane anonime, il quotidiano israeliano Yediot Ahronot lunedì ha riferito che l’Arabia Saudita e ‘uno degli Emirati del Golfo’ erano coinvolti o almeno consapevoli di quello che ha definito un ‘tentativo di colpo di stato’”. Indiscrezione che però al momento non ha alcun elemento di supporto.

Altrettanto ipotetica è la ricostruzione di Smadar Perry, analista dello stesso quotidiano israeliano, secondo il quale Netanyahu sarebbe stato a conoscenza di quanto si stava consumando nel Paese confinante e non ha fatto nulla per evitarlo, dal momento che tale sviluppo non gli sarebbe dispiaciuto.

Ciò per via dei recenti screzi tra questi e i reali giordani, acuiti da due eventi incrociati: l’annullamento improvviso della visita del principe Hassan II al “Monte del Tempio nella Città Vecchia di Gerusalemme per un disaccordo con le autorità israeliane su dettagli riguardanti la sicurezza” e il diniego della concessione dello spazio aereo giordano al velivolo che avrebbe dovuto portare Netanyahu negli Emirati arabi uniti (visita storica annullata proprio a causa di tale divieto).

In realtà l’analista israeliano, nel riferire la condiscendenza di Netanyahu verso il golpe, sembra aver enfatizzato la conflittualità tra questi e re Abdullah, fondando la sua ipotesi sugli screzi pregressi.

Se ne diamo conto, non è tanto per accreditare l’ipotesi, ma perché è ovvio che nel malmostoso ambito regionale, tanti arabi ne saranno convinti, data la forza di penetrazione dell’intelligence israeliana. Da cui un aumento del nervosismo generale.

Probabile che a sventare il golpe, foriero di nuova destabilizzazione regionale, sia stata l’America, che si è affrettata a dare pubblico sostegno alla corona haschemita (Timesofisrael).

Golpe sventato, dunque, a beneficio della stabilità regionale, che vede, a Vienna, riaprirsi il dialogo Washington-Teheran sul nucleare iraniano. La prima ha fatto aperture impreviste: se finora aveva legato un alleggerimento delle sanzioni imposte all’Iran al ritorno pieno di questa all’accordo pregresso (smettendo cioè di arricchire uranio), ora sembra sia disposta a percorrere una strada più accettabile per l’Iran, che ha accolto con favore l’apertura. Ma vedremo se alle parole seguiranno fatti.

 

 

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