3 Marzo 2021

Khashoggi e Navalny: il doppio registro dell'America

Khashoggi e Navalny: il doppio registro dell'America
Tempo di lettura: 3 minuti

a sx Jamal Khashoggi a dx Aleksej Navalnyj

Nuove sanzioni contro la Russia per l’affaire Navalny, che ovviamente non cambieranno nulla né per il blogger né per i rapporti tra Occidente e Russia, che restano sul filo della massima tensione.

Ma questa nuova ondata di sanzioni suscita facile ironia, dato che è stata comminata in concomitanza con la de-secretazione del dossier Khashoggi da parte dell’amministrazione Biden.

L’indagine a suo tempo condotta dalla Cia aveva accertato che ad assassinare l’oppositore del regime saudita era stato proprio il principe Mohamed bin Salman, l’uomo forte di Riad.

Si palesa così non solo il doppio standard adottato dagli Usa, ma anche l’ipocrisia che sottende il senso dell’America per i diritti umani, che in Russia evidentemente hanno un valore diverso che in Arabia Saudita.

Peraltro, val la pena considerare anche il pregresso: mentre si sanzionava la Russia per l’asserito avvelenamento di  Aleksandr Litvinenko o per l’asserito avvelenamento di Sergej Skripall, si teneva nascosto al mondo che gli alleati sauditi avevano sicuramente massacrato un oppositore politico..

Chissà quante altre cose analoghe sono oggi nascoste sotto il tappeto della Casa Bianca, pronte a esser rese pubbliche secondo la convenienza del caso.

Ma, al di là della facile ironia, val la pena soffermarsi sulla vicenda che riguarda il principe Mohamed bin Salman. Oggi il piccolo principe è stigmatizzato per aver ucciso Khashoggi, ma nulla si dice degli altri suoi crimini, molto più gravi, con un silenzio che interpella.

Nessuna recriminazione, infatti, per il modo col quale ha preso il potere, quando ha arrestato, torturato e, in alcuni casi, ucciso i precedenti dirigenti del Paese (Piccolenote).

Di certo esistono dossier della Cia anche su queste vicende, ma restano chiusi nei relativi cassetti per evitare di identificare Riad come un regime sanguinario: sarebbe troppo per un Paese che gli Stati Uniti considerano alleato indispensabile.

Né nulla si dice del rapimento del Primo ministro libanese Saad Hariri, crimine molto più grave sul piano del diritto internazionale perché perpetrato contro un Capo di Stato straniero.

Di certo l’intelligence che ha indagato su Khashoggi ha avuto modo di approfondire anche questa vicenda e di certo ne sa più di quanto al tempo riferirono i giornali americani, che scrissero di un rapimento in piena regola, con tanto di sevizie contro il malcapitato.

Anche questo dossier resta nel cassetto. E ciò per un’altra ragione, perché va ricordato come Hariri, durante la cattività saudita, fu costretto a lanciare un proclama di fuoco contro Hezbollah, affermando che la milizia filo-iraniana lo voleva uccidere e che per questo si era rifugiato a Riad.

Tutto falso, come dimostrato al tempo e come dimostra la collaborazione politica, pur nelle ovvie distanze, tra Hariri ed Hezbollah dopo il suo rilascio, ottenuto evidentemente solo previo giuramento da parte dello stesso di non parlare del suo rapimento (accordo segreto al quale si è attenuto, dato che evidentemente violarlo gli costerebbe molto caro).

Ma è interessante tornare a quell’accusa, lanciata in modo drammatico e drammatizzante, che quasi causò una guerra civile in Libano, tra sostenitori di Hariri ed Hezbollah, per fortuna evitata dalla saggezza della leadership del Paese dei cedri.

Interessante perché getta luce sulla propaganda dispiegata contro Hezbollah, che in questi anni è stata incolpata un po’ di tutto.

Solo per citare i casi più eclatanti, val la pena ricordare che per più di un decennio gli è stato attribuito l’omicidio di Saad Hariri, il padre di Rafiq, con sentenza mediatica smentita da un Tribunale internazionale istituito ad hoc.

Più di recente, in occasione della disastrosa esplosione avvenuta nel porto di Beirut, si può ricordare che molti parlarono subito di responsabilità della milizia sciita, che avrebbe piazzato un deposito di armi nel porto, cosa smentita dalle indagini delle autorità costituite.

Non si tratta di difendere Hezbollah, che certo non è un’organizzazione di beneficenza, o di prendere le parti della Russia contro gli Stati Uniti, né di criminalizzare più di quanto si stia facendo il piccolo principe saudita, solo evidenziare che in geopolitica la propaganda e i fatti spesso non corrono in parallelo.

E per relativizzare l’accusa, ormai diventata refrain di politici e mass media occidentali, che l’Iran, attraverso i suoi proxy regionali, cioè le milizie di Hezbollah libanesi e irachene, agirebbe in maniera “maligna” della regione. Diciamo che di maligni, nella regione e altrove, ce ne sono tanti. E spesso altri da quelli reclamizzati da certa propaganda.

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