La Flottilla: finché la barca va, lasciala andare

Oggi la Croce Rossa ha annunciato che è costretta a interrompere le proprie attività a Gaza City a causa dell’intensificarsi delle attività militari israeliane. Oggi altri 51 palestinesi si sono aggiunti alla lunga lista dei morti ammazzati, che da quasi due anni ogni giorno si aggiorna di un centinaio di nuovi iscritti, mentre altri due sono morti per fame, aggiungendosi ai 453 precedenti. La maggior parte di questi defunti sono bambini, considerati evidentemente come terroristi in fasce-erba. Ieri l’UNWRA, l’agenzia ONU per la Palestina, ha comunicato che circa 500mila palestinesi di Gaza City sono costretti in “soli otto chilometri quadrati”…
Ma non sono questi i problemi attuali delle Cancellerie europee e di tanti media del Vecchio Continente, che nulla hanno fatto perché tali prevedibilissimi sviluppi non si verificassero, stante anche che sul cosiddetto piano di pace made in Usa, come sugli altri pregressi, non hanno toccato palla. Il problema è che la Flottilla, quattro comici spaventati guerrieri per citare un titolo di Benni, non disturbi la macchina da guerra israeliana, che ha dichiarato Gaza off limits.
Non è off limits solo per i guerrieri di cui sopra, ma anche per l’Onu, per gli osservatori occidentali, come anche per i giornalisti, ché quelli occidentali sono interdetti, mentre i palestinesi sono più prosaicamente ammazzati. Nessun testimone degli orrori di Gaza o, nell’evidente impossibilità di eliminarli tutti, quantomeno è necessario sfoltirne il numero tramite interdizione, bombe e pallottole. E la Flottilla ha il torto, tra le altre cose, di poter testimoniare.
Non tanto di testimoniare gli orrori, che non glieli faranno nemmeno sfiorare, essendo il destino dei navigatori una cella già approntata, se non peggio.
Quanto di testimoniare che qualcosa per quei poveretti si può fare, che i diktat illegali e brutali dei carnefici israeliani possono essere reputati per quel che sono e pertanto ignorati, ribadendo il diritto di poter portare soccorso agli oppressi, di poter navigare in acque palestinesi, illegittimamente ascritte a Israele, di poter testimoniare un’umanità che Israele sta calpestando con la complicità, volontaria o meno che sia, di quanti in questi giorni si agitano perché la Flottilla non prosegua il suo corso.
Le persone su quelle navi sono state ridicolizzate, criticate in vario modo, e magari anche a ragione per certi versi, non sono certo immuni da difetti, ma hanno fatto qualcosa. Qualcosa che ha recato un alito di speranza nell’oscurità di Gaza (e altrove): bastava leggere i giornali arabi non consegnati alla propaganda occidentale per capire con quanta trepidazione hanno seguito la loro rotta.
Hanno suscitato più speranza delle tante e reiterate, quanto vacue, critiche a Israele giunte dalla malmostosa leadership europea, sintetizzate nella parola “inaccettabile”, risuonata tanto spesso quanto a vuoto in questi mesi e che vale soprattutto per la loro complicità nel genocidio in corso, del quale dovranno rendere conto alla storia e, per quanti ci credono, a Dio.
Ignorando anche l’indebita intromissione ecclesiastica in questi sforzi di far tornare indietro le barche della Flottilla, va rammentato che nessuno, quando sono partite, ha fatto analoghe sollecitazioni, che si sono moltiplicate con l’approssimarsi delle coste di Gaza. Non sapevano nulla? Speravano che a metà viaggio cambiassero idea? Ci rifiutiamo di credere che fossero a conoscenza di manovre per sabotare la missione e speravano che riuscissero; manovre di cui dall’esterno si ha poca contezza se non qualche attacco tramite droni o poco più.
All’appressarsi del contatto con la flotta e i commandos dello Stato genocidario (pronta l’unità d’élite Shayetet 13), tutto è precipitato, con appelli sempre più stringenti e, in alcuni casi, quasi minacciosi (nel senso che richiamano le minacce di Tel Aviv, anch’essa ingaggiata a seguire la Flottilla, ma con ben altri sentimenti).
Si è scomodato persino Soros – per rendere la Flottilla odiosa agli ambiti non consegnati alle narrazioni ufficiali, che lo detestano – il quale avrebbe finanziato la missione.
Può darsi che, oltre ai coraggiosi volontari, sia anche lui della partita. l’Agenda verde è roba di Soros e Greta Thunberg, prima protagonista della missione, ne è l’ancella. Ma ciò non inficia nulla, stante che anche personaggi nefasti, e Soros lo è sicuramente, possono per interesse far cose positive. Si ricordi che fu Stalin, non certo un figlio di Maria, ad abbattere il nazismo (furono i russi ad arrivare a Berlino, tanto per ricordare una storia che anche tanti autorevoli scranni tendono a riscrivere). Per la cronaca, Soros e Netanyahu sono da lungi acerrimi nemici.
Resta che Israele non vuole che la Flottilla arrivi, soprattutto non vuole che arrivino gli europei, ne va della loro immagine, quella che ormai è solo nella loro immaginazione. E se addirittura tornasse indietro, ostenterebbero la virata come una gloriosa vittoria della loro Hasbara (propaganda aggressiva).
Così, mentre la barca va, e soprattutto in attesa della risposta di Hamas al cosiddetto piano di pace di Trump (cioè di Netanyahu), e per finire la nostra nota, riportiamo la conclusione di un articolo di Haaretz – media che il genocidio di Gaza ha reso più rilevante per il mondo di tanti miserevoli politici europei – firmato da Shai Grunberg, presidente della Gisha (ong israeliana che tutela della libertà di movimento dei palestinesi) dedicato allo Yom Kippur, la festività ebraica dell’espiazione.
Così su Haaretz del 30 settembre: “Yom Kippur è alle porte, e come da tradizione dello Stato di Israele per le festività ebraiche, i valichi saranno chiusi o parzialmente aperti, ignorando completamente le terribili conseguenze per la popolazione [palestinese] morente. Non ci sarà perdono per i peccati e i crimini di Israele a Gaza: la fame, la devastazione, lo sfollamento e lo sterminio, mentre si continua ad abbandonare gli ostaggi al loro destino”.
Nulla da aggiungere se non che il perdono potrà anche essere accordato in un futuro che ora appare remoto, ma deve essere almeno chiesto e non sembra sia così, anzi per molti israeliani, politici e non, siamo tutti Hamas – tranne i servi ovviamente – declinazione di certa perversione pseudo-messianica, altra dalla grande tradizione ebraica, per cui i non ebrei, i goyim, sarebbero animali parlanti.
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