6 Maggio 2020

La guerra alla Cina e lo Yuan virtuale

di Gianni Di Noia
La guerra alla Cina e lo Yuan virtuale
Tempo di lettura: 3 minuti

La pandemia del coronavirus e le sue nefaste conseguenze sta nascondendo quanto sta accadendo nella galassia finanziaria globale. Verrebbe logico pensare che la crisi stia provocando il crollo dei mercato finanziario, se non fosse che segnali di immani problemi erano presenti ben prima della pandemia.

Ultimo episodio in ordine di tempo quanto accaduto a settembre nel mercato interbancario americano. La mossa di JPMorgan di togliere liquidità per 140 miliardi di dollari dal mercato overnight statunitense ha provocato l’intervento della Federal Reserve per circa 500 miliardi di dollari al fine di evitare fallimenti a catena di vari Hedge fund, così come ufficializzato poi dalla Banca dei regolamenti Internazionali.

È solo uno dei tanti segnali della estrema debolezza di un sistema finanziario che dal 2007 in poi ha solo tappato qualche falla senza riuscire a ricreare una normalità operativa. Un sistema così debole, incapace di guarire dai propri mali, ha stimolato in qualcuno l’idea che dovesse essere sostituito.

Da Libra allo Yuan virtuale

Da qui l’idea del patron di facebook, Marc Zuckerberg, di creare Libra, una moneta digitale il cui valore sarebbe stato ancorato a un paniere di valute internazionali (dollaro, euro, yen etc.), sulla linea del progetto Bancor proposto a Bretton Woods da J.M. Keynes.

Ma il progetto Libra (come il Bancor nel 1944) venne stoppato, in bizzarra coincidenza temporale, all’arrivo di due pacchi contenenti gas Sarin negli uffici centrali di Facebook.

Ma al di là della coincidenza temporale, lo stop era stato ventilato, con le pressioni del caso, da tanto mondo finanziario, preoccupato che tale moneta potesse sostituire il dollaro come valuta di riferimento mondiale.

A quanto pare adesso sembra che la Cina voglia lanciarsi in un’iniziativa analoga.  Il progetto sarebbe basato sulla tecnologia blockchain, già in uso nelle valute  virtuali, che consente di certificare in modo immodificabile le transazioni digitali, in questo caso transazioni valutarie, in tempi e costi più efficienti dell’attuale sistema di pagamenti internazionali.

Senza entrare nel dettaglio tecnico e tecnologico, è bene mettere in evidenza un aspetto chiave che differenzia tale progetto dalle altre monete virtuali.

 Una delle critiche mosse al progetto Libra era la sua inaffidabilità perché non era garantita da niente di concreto, mentre le valute tradizionali sono garantite dall’economia dei Paesi sottostanti.
Il progetto dello Yuan digitale potrà invece contare sulle importanti riserve aurifere accantonate in questi ultimi anni dalla Cina. Sarebbe così l’unica moneta convertibile in oro.

La guerra reale e la moneta virtuale

Probabili sviluppi a breve, perché la crisi coronavirus ha reso ancor più evidente la sproporzione tra la quantità di euro, dollari e yen creati dal nulla dalle banche centrali rispetto alla condizione delle economie reali.

Già prima della crisi, il solo ammontare nominale degli strumenti finanziari derivati rispetto al Pil mondiale era di 11-12 volte superiore. Un divario destinato ad aumentare a causa delle attuali misure anti-crisi, basate sulla creazione di denaro “a buffo”.

Da qui l’importanza dell’iniziativa cinese, cui probabilmente si assocerebbe la Russia. Non si tratta di un passaggio inatteso: in realtà la Cina da tempo cerca di incrementare il peso del renminbi* nel contesto globale, incrementando gli scambi internazionali in tale moneta, ma senza successo.

E ciò nonostante il peso economico della Cina nel mondo. Secondo un’analisi di Ria Novosti, a un peso del Pil cinese, pari a 19,4% di quello globale, si associa una circolazione del renminbi pari al 2,2%.

Al contrario, nonostante il Pil Usa rappresenti solo il 15,1% di quello globale, il dollaro ha un peso pari al 39% del totale. Considerazione analoga vale per l’euro, che con un Pil della Ue pari al 16,05% di quello globale, rappresenta il 34% degli scambi globali.

 Il dollaro come arma di distruzione di massa

A convincere la Cina al grande passo il successo della sperimentazione della moneta virtuale al suo interno, anche se in forma controllata, e la considerazione che la pandemia potrebbe accrescere gli scambi in moneta virtuale.

Ma soprattutto la guerra mossa a Pechino dagli Stati Uniti, che stanno usando il dollaro come “un’arma”, sia attraverso sanzioni contro la Cina e Paesi “amici” della stessa, sia per far pressioni su Paesi che gli Usa considerano alleati, per contenere l’espansionismo cinese (vedi il 5G di Huawei).

Da questo punto di vista, scrive Ria, il lancio della moneta virtuale cinese rappresenta una risposta asimmetrica all’assertività Usa, per evitare danni ulteriori e accrescere il soft power di Pechino nel mondo.

Ulteriore forza di tale moneta è il fatto che, a differenza di altre valute virtuali, non sarebbe anonima (aspetto che le rende utilissime per le operazioni illegali), conferendole crismi di ufficialità che altre non hanno.

La sua convertibilità in oro è ulteriore motivo di attrazione, soprattutto in un momento di crisi economica nel quale l’oro è bene rifugio. Da vedere, comunque, se la Cina si deciderà infine a fare il passo.

 L’iniziativa cambierebbe nel profondo l’equazione che sottende la geopolitica globale, suscitando ostilità. Attiverebbe risposte equivalenti, ma potrebbe anche produrre reazioni ingestibili e ad alto rischio globale. Vedremo.
 
Gianni Di Noia
*Il renminbi è la valuta avente corso legale nella Repubblica Popolare Cinese.
Mondo
22 Luglio 2024
Ucraina: il realismo di Haass