La Siria un anno dopo Assad: il Terroristan della CIA
Tempo di lettura: 5 minutiUn anno fa la caduta di Assad e l’ascesa al potere di al-Jolani, attuale presidente della Siria. Così Kevork Almassian sul Ron Paul Institute ricorda quel regime-change iniziato nel 2011. Una nota che spiega perché l’ex terrorista sia stato accolto a braccia aperte da Washington e dall’Occidente. “Cominciamo con la cronologia”, scrive, “perché già solo questa fa pensare che fin dall’inizio si è trattato di un’operazione di intelligence”.
“Abu Mohammed al-Jolani era in una prigione gestita dalla CIA in Iraq – Camp Bucca – insieme a un altro nome familiare: Abu Bakr al-Baghdadi. Entrambi furono rilasciati all’inizio del 2011. ‘Per una singolare coincidenza’ è proprio allora che inizia la guerra per il regime-change in Siria. Nel giro di poche settimane al-Baghdadi diventa il capo di quello che diventerà l’ISIS e al-Jolani attraversa il confine con la Siria per fondare Jabhat al-Nusra – ufficialmente la filiale di al-Qaeda nel mio Paese”.
Al-Jolani e la sua rete sono identificati come terroristi, c’è anche una taglia che pende sulla sua testa, ma “per oltre un decennio, mentre gli Stati Uniti radevano al suolo intere città in Iraq e Siria per combattere il ‘terrorismo’, per qualche oscuro motivo non hanno mai trovato il tempo o le coordinate per colpire seriamente al-Jolani o la sua struttura di comando”. Ciò perché al-Jolani combatteva “contro un governo che Washington aveva deciso che doveva scomparire: lo Stato siriano di Bashar al-Assad”.
Così, mentre al-Jolani e la sua rete iniziano a imperversare in Siria, ha inizio anche “l’Operazione Timber Sycamore: un programma segreto multimiliardario della CIA che ha fornito armi, denaro e addestramento ai cosiddetti ‘ribelli’ siriani. Questi sono stati spacciati all’opinione pubblica occidentale come ‘opposizione moderata’. Sul campo, quei moderati erano una specie in via di estinzione. Ciò che esisteva in realtà erano fazioni salafite-jihadiste fondamentaliste, con al Nusra al vertice della catena”.
“L’Esercito Siriano Libero (ESL) era la maschera, il logo sui documenti, il marchio che si poteva vendere al Congresso e alla CNN. La vera forza sul campo erano gli uomini di al-Jolani e gli altri gruppi takfiri, che combattevano sul serio, conquistavano territorio e imponevano il loro potere. Le armi andavano ‘ai moderati’ e i moderati le consegnavano magicamente ad al-Qaeda. Tutti a Washington fingevano sorpresa, ma nessuno fermò il flusso”.
“Nel corso degli anni, la maschera è caduta. I funzionari statunitensi hanno iniziato a parlare di al-Jolani come di qualcosa di più di un semplice ex nemico. James Jeffrey, ex inviato di Washington in Siria, ha apertamente definito al-Jolani ‘una risorsa’ per la strategia statunitense […]. Robert Ford, ex ambasciatore statunitense in Siria, ha ammesso pubblicamente di aver collaborato personalmente con al-Jolani per ‘toglierlo dal mondo del terrorismo’ e trasformarlo in un politico”.
“Di recente, l’ex direttore della CIA David Petraeus si è persino seduto vicino ad al-Jolani e gli ha detto: ‘Il tuo successo è il nostro successo’. Cosa ha bisogno di vedere la gente? La firma su un contratto di lavoro? Ma supponiamo, per un momento, che pensiate ancora che sia una forzatura. E qui entra in scena John Kiriakou […] un ex agente della CIA finito in prigione per aver denunciato un programma di tortura [della CIA] e aver fatto i nomi dei torturatori. La sua lealtà non è chiaramente rivolta al dipartimento PR dell’Agenzia”.
Di recente, in un programma Tv Kiriakou ha descritto la situazione di al-Jolani senza mezzi termini: “Il ‘nuovo presidente’ della Siria è un ex membro di al-Qaeda e co-fondatore dell’ISIS; lo stesso uomo è accolto alla Casa Bianca; alti funzionari statunitensi lo incontrano […]; il presidente Trump revoca improvvisamente le sanzioni alla Siria mentre al-Jolani consolida il suo potere, spingendo i siriani, disperati ed esausti, a ballare per le strade. L’unica cosa sensata è che al-Jolani sia una risorsa della CIA, conclude Kiriakou”.
“Quando un ex agente della CIA che ha sacrificato la sua carriera e la sua libertà per dire la verità osserva lo schema e dice: ‘Questo è un nostro uomo’, non si tratta più di una teoria del complotto”.
“[…] Credo che al-Jolani sia stato reclutato a Camp Bucca. La cronologia altrimenti non avrebbe senso. Non si esce da una prigione gestita dagli americani e, dopo poche settimane, si hanno magicamente le reti, i soldi, le armi e la capacità logistica per fondare al-Qaeda in Siria, proprio nel momento in cui Washington e i suoi alleati hanno bisogno di un ariete contro Damasco”.
Ma perché gli Stati Uniti e i loro alleati hanno sostenuto “un uomo simile? La risposta sta in ciò che era la Siria e in ciò che è diventata. Prima di questa guerra, la Siria, nonostante tutti i suoi limiti, era uno Stato integrato. Le persone si identificavano prima come siriane e poi come armene, druse, cristiane, alawite, sunnite, sciite, curde e così via. La sua politica estera era allineata con l’Iran ed Hezbollah, sosteneva i palestinesi e manteneva un atteggiamento di deterrenza nei confronti di Israele. Per Washington e Tel Aviv tutto questo era inaccettabile”.
Da qui il regime-change: “L’obiettivo non era la ‘democrazia’; questa parola era solo la carta del pacco regalo. Il vero obiettivo era rimuovere un governo alleato con l’Iran e sostituirlo con un caos frammentato: un’autorità centrale debole a Damasco, circondata da cantoni settari ed enclavi dominate da signori della guerra, tutti dipendenti da protettori stranieri. Al-Jolani è perfetto per questo ruolo”.
E adesso “un uomo con un lungo passato in al-Qaeda governa la Siria, un incubo per le minoranze: cristiani, drusi, alawiti, sciiti, molti curdi e altre comunità più piccole non accettano il dominio di al-Qaeda. Quindi si ritirano, con le proprie milizie, nei propri cantoni, nei loro mini-stati di fatto, esattamente in linea con le vecchie dottrine strategiche israeliane come il Piano Yinon, che sosteneva apertamente la frammentazione degli stati confinanti a Israele lungo linee settarie”.
Washington ci guadagna il petrolio siriano e il gas dell’area del Mediterraneo adiacente, oltre alla ricostruzione: un affare da “300 miliardi di dollari”. Peraltro, attorno ad al-Jolani si muove “una costellazione di veterani dell’intelligence occidentale e di ONG impegnate nella ‘risoluzione dei conflitti’ che agiscono da intermediari. Gli ambienti dell’MI6 britannico, guidati da figure come Jonathan Powell – ex capo di gabinetto di Tony Blair – svolgono un ruolo centrale nella gestione di questo processo. Powell dirige un’organizzazione chiamata Inter Mediate, specializzata nel ‘dialogo con i gruppi armati’. Dietro il linguaggio umanitario si nasconde un’ingegnosa ingegneria politica”.
“Si dice che una delle agenti di Inter Mediate, una donna di nome Clare Haigh, abbia un ufficio all’interno del palazzo presidenziale siriano e consiglia al-Jolani su come parlare, come vestirsi, come trattare i giornalisti e a presentarsi come un jihadista pentito diventato statista. E poi c’è il Qatar. Ahmed Zaidan, un tempo il giornalista preferito di Osama bin Laden, fotografato mentre sorseggiava il tè con lui e trasmetteva i suoi filmati su Al Jazeera, è ora consigliere personale di al-Jolani”.
Tale la situazione dopo il successo del regime-change, accompagnato da una manipolazione mediatica e da una censura massiva. A subirne le conseguenze, lo stremato popolo siriano.


