6 Dicembre 2025

L'annessione della Cisgiordania, il silenzio del mondo

di Davide Malacaria
L'annessione della Cisgiordania, il silenzio del mondo
Tempo di lettura: 4 minuti

Mentre iniziava l’attacco alzo zero a Gaza nel post 7 ottobre, “un altro fronte di guerra si apriva silenziosamente. Non con attacchi aerei o artiglieria, ma con bulldozer, leggi e milizie di coloni. Mentre le bombe polverizzavano Gaza, la Cisgiordania occupata si incendiava in un fuoco diverso: quello delle espulsioni sistematiche, delle espropriazioni violente e dell’annessione legalizzata”. Così su The Cradle.

Gaza's smoke clouds the West Bank's flames: The colonial project made permanent

“Questa guerra non fa notizia né fa tendenza sui social media […] Ma le sue conseguenze potrebbero rivelarsi ancora più durature. Sotto la copertura della devastazione di Gaza, Israele ha accelerato una campagna pianificata da tempo per smembrare con la forza la Cisgiordania occupata, distruggere la vita agricola palestinese e cancellare ogni prospettiva di uno Stato palestinese sovrano”.

“I suoi strumenti sono sia brutali che burocratici: coloni armati, sottrazione dell’acqua, decreti su siti archeologici, strangolamento economico e la neutralizzazione politica di ciò che resta dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP)”.

“Gli attacchi dei coloni contro i palestinesi non sono più casuali o arbitrari […] questa violenza è diventata un’estensione semi-ufficiale dello Stato israeliano tramite paramilitari. Gruppi armati di coloni operano in pieno coordinamento con l’esercito di occupazione, agendo come esecutori di una politica volta allo sfollamento forzato”.

“Nelle aree B e C della Cisgiordania occupata, i contadini e gli abitanti dei villaggi palestinesi sono braccati da queste milizie, che irrompono nelle case, distruggono i pannelli solari, avvelenano i serbatoi dell’acqua e bruciano i raccolti, non solo per intimidire, ma anche per ferire, uccidere e cacciare le persone dalle loro terre”.

“[…] La vera arma, tuttavia, è l’impunità. I ​​coloni ora agiscono con la piena consapevolezza che lo Stato li proteggerà, non li perseguiterà […] L’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din riferisce che, anche prima della guerra, il 94% dei processi sulla violenza dei coloni si concludeva senza un’incriminazione. Dall’inizio della guerra, persino l’apparenza di un procedimento legale è svanita”.

“La guerra di Israele si estende letteralmente fino alle radici. L’ulivo, linfa vitale della società e dell’economia rurale palestinese, è ora il bersaglio principale. Tel Aviv ha trasformato in armi il controllo delle risorse e le leggi ambientali così da smantellare l’agricoltura palestinese e separare la popolazione dalla terra”.

“Secondo Amnesty International, gli agricoltori palestinesi sono sottoposti a un regime che ne limita drasticamente l’accesso alle risorse vitali. Israele controlla l’85% dell’acqua della Cisgiordania occupata e vieta di scavare pozzi, costringendo molti a fare affidamento sull’agricoltura tradizionale pluviale, una pratica instabile a causa del cambiamento del clima e dalla sottrazione dell’acqua che scorre sotto terra a vantaggio delle vicine e rigogliose colonie israeliane”.

“Questa guerra all’agricoltura è condotta anche attraverso leggi kafkiane. Israele ha criminalizzato la raccolta di piante autoctone come timo, akkoub e salvia, usando come pretesto leggi sulla ‘protezione della natura’. Mentre i bulldozer radono al suolo migliaia di dunam di flora selvatica per espandere gli insediamenti, i palestinesi che raccolgono akkoub per un pasto in famiglia vengono multati e imprigionati”.

“[…] I coloni, poi, lanciano attacchi diretti contro le coltivazioni, impediscono agli agricoltori palestinesi di accedere a centinaia di ettari di uliveti e paralizzano l’economia locale. Quando i palestinesi oppongono resistenza, vengono accusati di terrorismo. L’obiettivo è rendere la permanenza nella terra troppo pericolosa, troppo costosa e, in definitiva, impossibile”.

“Parallelamente alla violenza, Israele sta portando avanti una campagna più silenziosa, forse più pericolosa: l’annessione legale della Cisgiordania […]. Questa annessione strisciante non si basa su dichiarazioni o cerimonie. Opera attraverso leggi di ripartizione territoriale, l’amministrazione civile e un uso strumentale-strategico dell’archeologia”.

“Una delle manifestazioni più allarmanti di questo cambiamento, infatti, è la militarizzazione dell’archeologia. Il governo israeliano cerca di porre la Cisgiordania occupata sotto la tutela della sua Autorità Israeliana per le Antichità, sottraendo la giurisdizione di diverse aree all’amministrazione militare e affidandola a un ente civile – un’annessione di fatto”.

“Con il pretesto di preservare il ‘patrimonio biblico’, vaste aree vengono dichiarate ‘siti archeologici’ o ‘parchi nazionali’, creando una narrazione esclusivamente ebraica che impedisce ai palestinesi di costruire o coltivare su queste terre”.

“Questa manipolazione storica, inoltre, cancella il passato multiforme della regione in favore dell’unico mito ebraico, concepito per giustificare la colonizzazione.
Sostituendo il regime militare con il diritto civile, Israele sta riclassificando la Cisgiordania occupata non come territorio occupato, ma come estensione della propria sovranità. I confini tra Tel Aviv e Tulkarem si confondono e l’apartheid è formalizzato”.

Infine, Israele sta erodendo il potere dell’Autorità nazionale palestinese “instaurando relazioni dirette con i leader tribali, i consigli di villaggio e i mediatori di potere locali. Questa è una classica politica coloniale che divide la comunità politica indigena, incrementa il potere dei collaboratori locali per eliminare la possibilità di una leadership nazionale unificata”.

“L’obiettivo è quello di frantumare la coesione palestinese e di trasformare la causa palestinese: da lotta di liberazione nazionale a casi umanitari isolati, presentando villaggi come Hebron, Nablus e Jenin come comunità isolate e bisognose di carità”.

“Parallelamente, Tel Aviv sta soffocando finanziariamente l’ANP, sottraendone le entrate fiscali” e, mentre l’Autorità crolla, “il caos che ne deriva viene utilizzato per giustificare un ulteriore controllo israeliano”.

Così, mentre “la distruzione di Gaza cattura le telecamere, la Cisgiordania occupata viene metodicamente svuotata dalla paura, dalla povertà e dalla sete. L’obiettivo strategico di Israele è eliminare il modello dei due stati e consacrare la realtà di un unico stato nel quale solo gli ebrei hanno pieni diritti, mentre i palestinesi vengono confinati in enclavi, non hanno sovranità e, infine, sono spinti verso la riva orientale del fiume Giordano”.

“Parlare di un ‘giorno dopo’ a Gaza senza fare i conti con ciò che si sta consumando sulle colline della Cisgiordania occupata significa perdere di vista il cuore del progetto. Gli aerei da guerra possono anche restare a terra, ma la macchina della colonizzazione […] continua a macinare. È qui, nel silenzio, che la cancellazione si completa. Un futuro in cui il ritorno è negato, la giustizia messa al bando e la storia asfaltata da cemento e mito”.

Tutto questo, va ricordato, non ha nulla a che vedere con l’attacco di Hamas del 7 ottobre…

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