10 Giugno 2016

La strage di Tel Aviv e la questione palestinese

La strage di Tel Aviv e la questione palestinese
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Hanno destato accese controversie le parole del sindaco di Tel Aviv, Ron Huldai, all’indomani della strage compiuta da due palestinesi nella città che amministra. In un’intervista ha infatti detto che l’attentato, ovviamente da lui deprecato e condannato, è diretta conseguenza della politica israeliana nei confronti dei palestinesi: «Noi, come Stato, siamo i soli al mondo che abbiamo un altro popolo che vive in mezzo a noi, sotto la nostra occupazione e senza diritti civili […] Il problema è che quando non ci sono attacchi terroristici, nessuno ne parla. Nessuno ha il coraggio di fare un passo avanti verso qualche tipo di accordo. Siamo al 49esimo anno di un’occupazione, di cui anch’io sono parte, me ne rendo conto, e penso che i leader che hanno coraggio dovrebbero semplicemente ammetterlo».

 

E ancora: «Dobbiamo mostrare ai nostri vicini che vogliamo davvero tornare alla realtà, a uno Stato ebraico più piccolo e con una maggioranza di ebrei più consistente […] Non possiamo continuare a tenere delle persone in una condizione di occupazione, e aspettarci che arrivino alla conclusione che va tutto bene».

Il fatto che abbia rilasciato queste inusitate dichiarazioni a una radio militare conferisce a tali parole una valenza ulteriore.

 

Nota a margine. Ovviamente le parole di Hudai hanno scatenato accese reazioni in Israele, giustificate peraltro dall’eccidio.
E però con questa intervista il sindaco di Tel Aviv ha posto nel dibattito israeliano elementi di riflessione non obliterabili. Purtroppo la questione palestinese è di lunga durata e la sua complessità richiederà tempo per una risoluzione, anche parziale. Il rischio che nel frattempo tutto precipiti in una nuova guerra è reale. Speriamo almeno questa sia scongiurata.

 

Resta da registrare che in Israele il dibattito su una possibile riapertura del dialogo con i palestinesi per arrivare alla soluzione dei due Stati, dopo anni di cupa chiusura, si è riacceso (anche sotto la spinta internazionale). Un’ipotesi che potrebbe essere perseguita anche attraverso l’allargamento del governo ai laburisti con la fuoriuscita del partito guidato dall’ultras Naftali Bennet.

 

Val la pena registrare anche la dichiarazione di Moshe Kahlon, leader di Kalanu, il partito più moderato della coalizione di governo, il quale ha dichiarato riguardo Liebermann (il super-falco che Netanyahu ha scelto come ministro della Difesa): «Non sarò sorpreso se il nostro [nuovo] ministro si rivelasse un pragmatico», in grado di guidare processi diplomatici che sono «molto più fattibili di quanto vediamo ora». La dichiarazione di Khalon è stata riportata da Al Monitor, in un articolo di Mazal Mualem dal titolo significativo: «Netanyahu-Lieberman potrebbero sorprenderci?».

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