20 Luglio 2023

La tensione Putin - Erdogan

Erdogan a Vilnius
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Putin avverte Erdogan: da oggi tutte le navi che nel Mar Nero faranno rotta verso i porti ucraini saranno considerate una minaccia per la Russia e, come tali, saranno obiettivi legittimi delle sue forze armate. Un avvertimento che si estende anche ai Paesi a cui appartengono tali navigli, che saranno considerati coinvolti nel confitto. Questo il comunicato diramato ieri sera dal ministero della Difesa russo, che ha definito il nuovo approccio della Russia verso il Mar Nero dopo il collasso dell’accordo sul grano ucraino.

Dell’avvertimento colpisce anzitutto la tempistica, avendo cambiato immediatamente le regole del gioco sul Mar Nero. Ma, soprattutto, l’estensione del monito ai Paesi che invieranno le proprie navi.

Un avvertimento di Putin a Erdogan

Benché generico, l’avvertimento era diretto a un Paese specifico, la Turchia. Un segnale forte che indica che la tensione tra Ankara e Mosca si è alzata a livello di guardia. Un cambiamento geopolitico di rilievo primario nel quadro globale.

Per capire cosa sta accadendo vanno ripercorsi i fatti recenti, ricordando anzitutto gli amichevoli rapporti instaurati tra Putin ed Erdogan negli ultimi anni, che hanno irritato l’Occidente.

Ma qualcosa è cambiato dopo le recenti presidenziali che hanno visto la rielezione di Erdogan. Il sultano, infatti, ha consegnato l’economia del Paese a due figure che hanno stretti rapporti con l’Occidente, come spiegava The Cradle a giugno.

Al Tesoro, infatti, ha chiamato Mehmet Simsek, che ha studiato nel Regno Unito ed è cittadino britannico, ha lavorato  all’ambasciata degli Stati Uniti ad Ankara, è stato “analista della UBS, consulente economico presso Deutsche Securities” e soprattutto ha lavorato per Merrill Lynch, banca di investimento di rilevanza primaria. E alla banca centrale ha nominato Hafize Gaye Erkan, donna della Goldman Sachs. Questa la conclusione di The Cradle: “Il settore finanziario della Turchia è ora guidato da un banchiere britannico e da un ex dirigente di Wall Street”.

Anche il nuovo capo dell’intelligence e il ministro degli Esteri sono stati scelti con criteri analoghi, cioè “migliorare le relazioni della Turchia con l’Asia occidentale e l’Occidente”.

Il ri-orientamento di Erdogan

Si comprende, quindi, perché, rieletto, Erdogan abbia preso iniziative volte ad ammorbidire le relazioni con gli Usa: il placet all’ingresso della Svezia nella Nato (per il quale, però, ha voluto anche un corrispettivo in denaro), ma, soprattutto, il rilascio di cinque comandanti del battaglione Azov che, in base a un’intesa raggiunta con Putin, avrebbe dovuto trattenere in Turchia fino alla fine della guerra.

Un gesto simbolico dirompente perché ha violato gli accordi nel modo più pubblico possibile, cioè consegnando i cinque neonazisti a Zelensky, invitato in Turchia a ostentare il pubblico trionfo. Una vera e propria sfida alla Russia.

Non solo, dal momento che l’intesa era frutto del rapporto quasi amicale con Putin, aveva anche un significato più personale: un vero e proprio affronto allo zar.

Per la Russia tale voltafaccia suonava oltremodo irritante anche perché alle presidenziali aveva  a suo modo sostenuto Erdogan, mentre l’Occidente aveva supportato il suo antagonista.

Nel rilanciare i rapporti con l’Occidente, Erdogan aveva però evidentemente puntato tutto sulla sua ambiguità, che tanto gli aveva fruttato in passato. Sicuro che avrebbe trovato un modo per ricucire con lo zar. Tanto che, subito dopo il rilascio dei cinque neonazisti, aveva annunciato che ad agosto si sarebbe incontrato con Putin.

Non solo, aveva anche ostentato sicurezza riguardo il rinnovo del trattato sul grano ucraino, più che lucroso per la Turchia perché, da garante, ne gestiva i flussi.

Ma, stavolta, qualcosa si è incrinato davvero. Putin non ha ancora confermato la visita in Turchia, né si è degnato di chiamarlo. Inoltre, nulla importando delle insistenze turche per rinnovare l’intesa sul grano, lo ha fatto decadere. Tornerà in vigore, ha comunicato, solo se saranno soddisfatte le richieste russe finora eluse.

La decisione ha avuto un contraccolpo traumatico sulla Turchia, con la lira che ha toccato il suo minimo storico. A dare un’idea della situazione, la notizia di Hurryet: il prezzo del pane è salito bruscamente del 40%.

Non solo il pane: se la tensione dovesse aumentare, Ankara rischia di perdere tutti i benefici che gli sono piovuti addosso in questi anni di fecondi rapporti con Mosca, con la quale ha incrementato notevolmente gli scambi commerciali.

L’ipotesi di scortare le navi nel Mar Nero

Erdogan era certo che Mosca non si sarebbe irrigidita più di tanto, reputando che, con la guerra in corso, non può permettersi altri nemici. Sbagliava. E per correre ai ripari, in Turchia si era ventilata l’ipotesi di conservare l’intesa sul grano senza la Russia, inviando navi da guerra turche a scortare le navi cargo cariche di grano ucraino, sicuri che i russi non avrebbero fatto nulla contro di esse.

Da qui il durissimo comunicato di Mosca, che non solo avvertiva che le navi usate per tale commercio state affondate, ma che sarebbero state considerate ostili le nazioni che avessero inviato le navi. Di fatto, ha avvertito Ankara che avrebbe considerato la scorta dei mercantili al modo di una dichiarazione di guerra.

L’immediata attuazione dell’avviso ai naviganti serviva a evitare che la Turchia si muovesse prima, mettendo la Russia di fronte al fatto compiuto, cosa che avrebbe creato gravissime tensioni (le navi turche minacciate avrebbero potuto far scattare il soccorso Nato).

A quanto pare, la Turchia ha fatto sapere che non darà seguito all’idea e, dal canto suo, Erdogan ha rinnovato la richiesta di un incontro con Assad, sapendo di far cosa gradita a Putin, protettore del presidente siriano.

Nel frattempo, però, si susseguono sui media russi, le notizie su asseriti aiuti letali turchi inviati in Ucraina, bollati come “pugnalata alle spalle”. Alternando blandizie e minacce, ma evitando la rottura, Erdogan vuole costringere Putin a ricucire.

Putin finora ha osservato un silenzio assoluto sui rapporti con la Turchia e il suo sultano. Un silenzio che suona assordante ad Ankara, ma che vuole anche evitare il collasso dei rapporti. In attesa di sviluppi, che potrebbero portare alla rottura o, se il sultano darà segni più che tangibili di ravvedimento, a una rinnovata distensione.

 

 

 

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