24 Ottobre 2025

L'inviato di Putin negli Stati Uniti

di Davide Malacaria
L'inviato di Putin negli Stati Uniti
Tempo di lettura: 4 minuti

L’annullamento dell’incontro tra Trump e Putin, che avrebbe dovuto tenersi a Budapest, e le sanzioni comminate ai due giganti petroliferi della Russia, Lukoil e Rosneft, hanno fatto cantare vittoria al partito della guerra. Le pressioni, che avevamo dato per scontato, evidentemente sono andate a segno (peraltro, le sanzioni arrivano mentre si registrano misteriosi incendi in tre impianti energetici europei collegati alla Russia: in Ungheria, Slovacchia e Romania…).

Anche in Slovacchia: salta la terza raffineria in tre giorni, continua la guerra dell’energia all’Europa

L’imposizione di sanzioni da parte di Trump, benché abbiamo scarsa efficacia sulla determinazione russa, come tutte le sanzioni imposte finora, segnano però un punto a favore del partito della guerra perché sembrano segnalare un’inversione di tendenza rispetto alla de-escalation Russia-Usa registrata finora.

In realtà, prendendo tale iniziativa, Trump ha commentato:  “Speriamo che non durino a lungo” aggiungendo che l’incontro con Putin “lo faremo in futuro“. Concetto ribadito dalla portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt il giorno successivo, spiegando che si farà quando ci saranno la condizioni perché dia frutti.

Trump: ‘It was time’ for Russia sanctions, Putin meeting ‘didn’t feel right’

Da parte sua, Putin, in una conferenza stampa, ha replicato che “le sanzioni sono gravi, certo, questo è chiaro, e avranno determinate conseguenze, ma non avranno un impatto significativo sul nostro benessere economico”, aggiungendo che, per quanto riguarda l’aspetto politico, si tratta di un “atto ostile” che mina le relazioni che le due potenze stavano lentamente ripristinando (sul punto, ha ricordato anche come la prima presidenza Trump avesse comminato una serie di sanzioni contro Mosca, cenno che vuole sottintendere che sono misure che il suo Paese ha già attraversato e superato).

Altrettanto importante, ha rigettato la logica che sottende l’iniziativa, la famigerata massima pressione che l’amministrazione Trump usa brandire per cercare di ottenere quanto pretende: “Nessun paese o popolo che si rispetti prende mai decisioni sotto pressione. E, naturalmente, la Russia ha il privilegio di sentirsi e considerarsi parte di questa lista di paesi e popoli che si rispettano”.

Un botta e risposta a distanza dunque, con Trump che ha gigioneggiato sulla relativa rilevanza economica che il suo omologo russo ha accreditato alle sanzioni, affermando: “Ne riparleremo tra sei mesi”.

Il partito della guerra esulta, ritenendo che siamo di fronte a una drastica inversione di tendenza e che la guerra di Biden sta per diventare, se già non lo è, la guerra di Trump.

Ma se si va a vedere meglio le dichiarazioni di Putin, si nota che zar condivideva l’idea che l’eventuale incontro tra i due presidenti avrebbe dovuto avere qualche esito. Si nota cioè una certa qual sintonia, anche nelle distanze, rilanciata dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov: “Né Trump né Putin vogliono incontrarsi solo per il gusto di farlo. Perché l’incontro sia produttivo è necessario lavorare al livello definito dai capi di Stato: il Ministro degli Esteri russo e il Segretario di Stato americano”.

By promising a stunning response, Putin meant strikes not only with Tomahawks, but against Russia in general – Peskov

Inoltre, “sì, il presidente Trump ha dichiarato di non aver preso in considerazione l’idea di tenere un vertice per il momento. Tuttavia, negli ultimi due giorni, ha ripetuto più volte di non escludere la possibilità di tenere un vertice del genere in futuro. Il Presidente Putin condivide questa opinione”.

Insomma, benché il feeling precedente tra i due presidenti si sia incrinato, non siamo ancora alla rottura, come dimostra la visita odierna di Kirill Dmitriev, capo del fondo sovrano russo (RDIF) e inviato speciale del Cremlino, il quale incontrerà i funzionari dell’amministrazione Trump “per proseguire il dialogo sulle relazioni tra Stati Uniti e Russia” (CNN).

How Trump’s plans for a Budapest summit with Putin turned into sanctions on Russia

Possibile che le difficoltà sulla crisi ucraina siano state implementate dalla criticità venezuelana, con Trump che ha compiuto un ulteriore passo verso l’invasione dichiarando che presto inizieranno le operazioni di terra contro i narcos.

Lo fa pensare il fatto che il primo segnale che la mano tesa di Trump stava per essere ritirata si è registrato dopo la telefonata tra il Capo del Dipartimento di Stato Usa Marco Rubio e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, che doveva preludere all’incontro tra i due che, a sua volta, doveva preparare il summit dei presidenti.

A spingere per la guerra al Venezuela, infatti, è Rubio (ne è ossessionato da tempo). Probabile che si voleva mettere anche la neutralità della Russia sull’aggressione del Venezuela nel pacchetto Ucraina, con i russi che hanno rigettato.

D’altronde, proprio in questi giorni, e non certo a caso, i rapporti tra i due Paesi si sono intensificati con la ratifica del partenariato strategico Mosca-Caracas e le pubbliche manifestazioni di sostegno della Russia al rispetto della sovranità del Venezuela.

A margine, va registrato che la dialettica aggressore-aggredito, tanto in voga per l’Ucraina, non trova analoga applicazione al Paese latinamericano, al quale gli States, come tutti sanno, vogliono rubare il petrolio. Di oggi un appello drammatico del presidente Nicolas Maduro a Trump, nel quale chiede “pace per sempre”. Il “pacificatore” Trump ascolterà?

Nel frattempo, resta da vedere quale sarà l’esito della visita dell’inviato di Putin in America. Giorni turbolenti questi, come dimostra la follia del premier britannico Keir Starmer che, ricevendo a Londra Zelensky e i cosiddetti “volenterosi”, ha sollecitato i convenuti a dotare Kiev di missili a lungo raggio, nulla importando l’avvertimento di Putin, il quale ha dichiarato che l’uso di quest’arma riceverebbe una risposta “schiacciante”. Morire per Londra?

 

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