Lo scontro tra Trump e i volenterosi europei. La variabile Israele
Tempo di lettura: 4 minutiI media internazionali hanno dato molto spazio alle critiche di Trump verso l’Europa e alle repliche dei leader europei che si atteggiano a burattini senza fili. In realtà, quei fili ci sono, eccome, o davvero qualcuno può immaginare che politici senza quid come Ursula von der Lyen, Kaja Kallas, Friedrich Merz, Keir Starmer ed Emmanuel Macron possano contrapporsi impunemente all’imperatore?
A muovere tali fili sono altri, sempre oltreoceano, e sono i nemici irriducibili di Trump, neocon e liberal, per i quali il senso del presidente americano per la dottrina Monroe 2.0, che rigetta l’unipolarismo e il correlato Credo delle guerre senza fine (dottrina che negli ultimi anni ha i suoi focus in Ucraina e Medio oriente), è inaccettabile.
Da questo punto di vista la dichiarazione di indipendenza dei leader europei da Trump non è altro che un atto di servilismo verso i vecchi padroni americani che, come nella precedente presidenza Trump, usano anche l’Europa per porre criticità al cambiamento che questi vorrebbe imprimere alla politica estera imperiale.
Cambiamento di prospettiva che stavolta non è lasciato alla sola improvvisazione di Trump, ma è condensato nella National Security Strategy del 2025 che delineando le nuove prospettive della politica estera Usa, relega l’Europa ai margini, segnala la Russia come una partner e la Cina come un competitor (eludendo le pose muscolari nei confronti di Pechino del passato).
Di interesse anche un passaggio sul Medio oriente: “I giorni in cui il Medio Oriente dominava la politica estera americana sia nella pianificazione a lungo termine che negli atti quotidiani sono fortunatamente finiti, non perché il Medio Oriente non conti più, ma perché non è più la fonte costante di sdegno e di possibili catastrofi imminenti come lo era prima” (si elude, cioè, anche una guerra all’Iran).
Una rivoluzione copernicana che ha il marchio di fabbrica del sottosegretario della Difesa per la politica Elbridge Colby – fore la figura più importante dell’amministrazione Trump insieme a Tulsi Gabbard e J. D. Vance – il quale, non per nulla, è al centro degli attacchi di neocon e liberal.
In altra nota abbiamo accennato a come l’attacco a Hegseth per le uccisioni extragiudiziali nei Caraibi abbiano come obbiettivo Colby più che il palestrato Capo del Pentagono; critiche più che giuste, ma stride che a stracciarsi le vesti per i due venezuelani uccisi siano, a parte lodevoli eccezioni, gli stessi ambiti che hanno guardato con indulgenza le uccisioni di decine di migliaia di bambini di Gaza.
Ma, digressione a parte, resta appunto lo scontro aperto tra Europa e Stati Uniti, che apparentemente riguarda solo l’Ucraina, ma in realtà anche Israele e il suo progetto di dominio del Medio oriente da conseguirsi sulla punta delle baionette o tramite gli Accordi di Abramo.
Potrebbe apparire bizzarro, data la sbandierata bromance tra Trump e Netanyahu, che a sostenere nel segreto le ragioni della Grande Israele più che Trump sia l’Europa, meglio i “volenterosi” leader europei, com’era evidente durante la presidenza Biden, quando tutto l’Occidente, a parte eccezioni, ha sostenuto senza tentennamenti la macelleria dei palestinesi e gli Accordi di Abramo (nonostante fossero stati varati nella precedente presidenza Trump).
Non che Trump sia esente da colpe in proposito, e pure gravi, ma la sua condiscendenza verso tale progetto è data dalla debolezza di fronte allo strapotere degli ambiti ebraici americani consegnati a tale follia (per fortuna non tutti lo sono) e dai suoi errori, passati e presenti, che lo hanno portato a interfacciarsi con tragica ambiguità con gli ambiti neocon, ai quali ha ceduto, o dovuto cedere, parte importante del potere imperiale (Marco Rubio ha un potere mai conosciuto da un Segretario della Difesa, assommando anche la carica di Consigliere per la Sicurezza nazionale).
Rebus complesso, quello del potere imperiale, che le improvvisazioni di Trump rendono ancora più sfuggente, come denota anche il caso Venezuela, rispetto al quale l’ambiguità presidenziale ha raggiunto l’apice, con minacce di invasione incombente e sempre, almeno per ora, procrastinate.
A dimostrare che le due guerre, ucraina e mediorientale, corrono in parallelo (con Tel Aviv che non vuole che si chiuda l’incendio ucraino per evitare che l’inferno che sta alimentando resti l’ultimo focolaio da sistemare) è, ad esempio, una nota di Larry Johnson sul Ron Paul Institute, che analizza due operazioni militari parallele, quella contro gli aeroporti russi – obiettivo i bombardieri strategici russi, quelli preposti alle atomiche – del 1 giugno 2025 e l’attacco a sorpresa di Israele all’Iran, avvenuto subito dopo.
Johnson ricorda come entrambe le operazioni furono pianificate accuratamente molti mesi prima. Si trattava di creare o usare reti clandestine per far entrare nei due Paesi parti di droni che poi dovevano essere assemblati e stipati in siti segreti nelle vicinanze degli obiettivi, per poi colpire di sorpresa.
Quindi, sull’attacco contro la Russia, scrive: “Non si può negare che si sia trattato di un’operazione sofisticata e che, a mio giudizio, abbia fatto molto affidamento sul supporto dell’intelligence di Stati Uniti, Regno Unito e, forse, Israele. Perché Israele? Per la somiglianza delle tattiche utilizzate negli attacchi contro la Russia e l’Iran, avvenuti entrambi nell’arco di due settimane. Entrambe erano operazioni di penetrazione profonda, mirate a risorse di alto valore e consolidate, lontane dalle linee del fronte. Entrambe hanno richiesto un ampio supporto di intelligence”.
“Credo anche che gli Stati Uniti abbiano svolto un ruolo significativo nel coordinamento dei due attacchi, nell’ambito di una strategia più ampia volta a indebolire sia la Russia che l’Iran. La pianificazione di queste operazioni è stata condotta attraverso canali separati, ma c’era qualcuno, o un gruppo di persone, che supervisionava gli obiettivi strategici più ampi”.
Di seguito annota di ritenere che la CIA, dato l’enorme investimento che ha fatto in Ucraina, “stia lavorando per indebolire gli sforzi di Trump per arrivare alla pace”. È noto che il Capo della CIA, John Ratcliffe è legato a filo doppio all’AIPAC, la lobby Usa pro-Israele, e a Netanyahu.



