14 Ottobre 2023

Il militare israeliano: urge la pace con i palestinesi

La pace preda di opposti estremismi. La testimonianza di Nir Avishai Cohen, maggiore della riserva israeliana, riportata dal NYT
Foto dal New York Times a corredo dell'articolo del militare israeliano. Un uomo si fa strada lungo una strada disseminata di detriti di notte dopo gli attacchi aerei israeliani sulla città di Gaza sabato.
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Riportiamo uno scritto di maggiore riservista delle forze di difesa e autore del libro “Love Israel, Support Palestine”. Il militare israeliano è residente ad Austin, Texas e dopo la strage che ha insanguinato la sua patria è tornato a indossare la divisa per assolvere il suo dovere di militare.

La pace preda degli opposti estremismi

Dopo aver ricordato l’orrore che si è abbattuto sul suo Paese, Cohen scrive: “Vorrei dire una cosa chiaramente, prima di andare in battaglia: non esiste qualcosa che sia ‘inevitabile’. Questa guerra avrebbe potuto essere evitata e nessuno ha fatto abbastanza per impedirla. Israele non ha fatto abbastanza per realizzare la pace; abbiamo appena conquistato i territori palestinesi in Cisgiordania, ampliato gli insediamenti illegali e imposto un assedio a lungo termine alla Striscia di Gaza”.

“Da 56 anni Israele sottopone i palestinesi ad un governo militare oppressivo. Nel mio libro ‘Ama Israele, sostieni la Palestina’ ho scritto: ‘La società israeliana deve porsi domande molto importanti su dove e perché è stato versato il sangue dei suoi figli e delle sue figlie. Una minoranza religiosa messianica ci ha trascinato in una palude fangosa e noi la seguiamo come se fosse il Pifferaio di Hamelin'”.

“Quando ho scritto queste parole l’anno scorso, non mi rendevo conto di quanto fossimo immersi nel fango e di quanto altro sangue potesse essere versato in così poco tempo”.

“In qualità di maggiore delle forze di riserva, è importante per me chiarire che in questa nuova guerra già inarrestabile, non possiamo permettere che il massacro di israeliani innocenti si traduca nel massacro di palestinesi innocenti. Israele deve ricordare che nella Striscia di Gaza vivono più di due milioni di persone. La stragrande maggioranza di loro è innocente. Israele deve fare tutto ciò che è in suo potere per evitare di uccidere persone innocenti e concentrarsi sulla distruzione dell’esercito militante di Hamas”.

“Questa guerra, come altre prima, prima o poi finirà. Non sono sicuro che ne uscirò vivo, ma so che un minuto dopo la fine della guerra, sia gli israeliani che i palestinesi dovranno fare i conti con i leader che li hanno portati a questo momento. Dobbiamo svegliarci e non lasciare che siano gli estremisti a governare. Palestinesi e israeliani devono denunciare gli estremisti guidati dal fanatismo religioso”.

“Ora difenderò il mio paese dai nemici che vogliono uccidere il mio popolo. I nostri nemici sono le organizzazioni terroristiche mortali controllate dagli estremisti islamici.

“I palestinesi non sono il nemico. I milioni di palestinesi che vivono proprio qui accanto a noi, tra il Mar Mediterraneo e la Giordania, non sono nostri nemici. Proprio come la maggioranza degli israeliani vuole vivere una vita calma, pacifica e dignitosa, così vogliono i palestinesi”.

La copertina del libro "Love Israel, support Palestine"

La copertina del libro “Love Israel, support Palestine”

“Sia gli israeliani che i palestinesi sono da decenni nella morsa di una minoranza religiosa. Da entrambe le parti, le posizioni intrattabili di un piccolo gruppo ci ha trascinato nella violenza. Non importa chi è più crudele o più spietato. L’ideologia di entrambi ha alimentato questo conflitto, portando alla morte di troppi civili innocenti”.

“[…] Gli israeliani devono rendersi conto che non esiste risorsa di sicurezza più grande della pace. L’esercito più forte non può proteggere il paese come fa la pace. L’attuale guerra lo dimostra ancora una volta. Israele ha seguito la strada della guerra per troppo tempo”.

“Alla fine, dopo che tutti i morti israeliani e palestinesi saranno stati sepolti, dopo che avremo finito di lavare via i fiumi di sangue, le persone che condividono una casa in questa terra dovranno capire che non c’è altra scelta che seguire la strada di pace. È lì che sta la vera vittoria”.

Lo Stato palestinese e la politica israeliana

Ci permettiamo due osservazioni che nulla tolgono alle commoventi annotazioni del maggiore Cohen. La prima è che non ci sarà pace senza uno stato della Palestina, cosa che nel suo scritto è implicito ed esplicitato nel suo libro (che fu molto osteggiato in Israele).

La seconda è che isolare o ridimensionare l’estremismo messianico israeliano non sembra sia sufficiente a mutare la politica di Tel Aviv verso i palestinesi. Serve cioè un mutamento ben più profondo.

Per fare solo un esempio, riportiamo quanto scrisse Gideon Levi su Haaretz riguardo l’ex premier laburista Ehud Barak (6 luglio 1999 – 7 marzo 2001), che ostentava al mondo un certo qual favore verso la causa palestinese e la sua propensione per la pace, in contrasto con l’antagonista di destra Netanyahu.

Questo il titolo del suo articolo “Quale opposizione? Ehud Barak è sulla stessa linea di Netanyahu e dei coloni”. Questo il sottotitolo: “Il sostenitore del ‘campo della pace’ israeliano è orgoglioso del numero di insediamenti che ha costruito, un tasso di costruzione annuale che Netanyahu poteva solo sognare”.

Ne scriveva il 28 settembre del 2017 commentando la partecipazione di Barak alla celebrazione dei 50 anni dalla “liberazione” dei territori,. E annotava: “L’uomo che ha facilitato la costruzione di 4.958 case negli insediamenti durante i suoi magnifici anni di pace, quando ha servito come primo ministro […] è degno di tale trattamento regale ricevuto da parte dei coloni”, che lo avevano invitato alla festa.

Quindi, Levy commenta un articolo scritto da Barak per l’occasione: “Il suo articolo ha lo scopo di correggere l’ingiustizia. Ora abbiamo appreso che, proprio come Bezalel Smotrich [leader di un partito di estrema destra ora al governo ndr], vede il disastroso giubileo al modo di una festa per Israele. Barak non è nemmeno imbarazzato nell’usare il linguaggio dei coloni messianici: ‘liberare queste parti del paese’, ‘ritornare in ogni parte del paese’, e che ci crediate o no, ‘siamo orgogliosi del ruolo avuto nel restituire ogni parte del territorio [a Israele] e per gli insediamenti che sono essenziali per la nostra sicurezza’”.

Concludiamo ribadendo che la nostra non vuole essere una critica allo scritto di Cohen, che merita tutta la lode del caso, solo ricordare che la pace è orizzonte lontano e va perseguita con lucidità, tanto necessaria a evitare abbagli. Ma tutto ciò, semmai, appartiene a un’eventuale dialettica futura, il presente è il bagno di sangue e quello più copioso incombente.

Si spera che Cohen esca vivo dalla tempesta. Israele e la Palestina hanno bisogno di uomini come lui.

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