10 Aprile 2024

La NATO contro la Serbia, la menzogna che innescò l'intervento

La strage di Račak, il casus belli fabbricato ad hoc
La NATO contro la Serbia, la menzogna che innescò l'intervento
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Il 9 aprile il Ron Paul Institute ha pubblicato l’intervento di  James George Jatras tenuto al Bundestag il 20 marzo, ricorrenza dell’intervento Nato contro la Serbia. Jatras è stato testimone per la difesa al processo contro Slobodan Milošević e racconta una sua versione dei fatti.

L’intervento Nato si innestò nel contesto di un conflitto inter-jugoslavo, con la Serbia impegnata a contrastare la guerriglia dell’Uck (che aveva rapporti con al Qaeda, come ricorda Jatras), che mirava all’indipendenza della regione kosovara. Un conflitto a bassa intensità, che mieteva vittime civili.

Fabbricare il casus belli 

Milošević fu accusato di aver dato avvio a una pulizia etnica contro gli islamici del Kosovo ma, come ricorda Jatras, non c’era alcuna prova, nessun testimone che il presidente serbo abbia dato tale ordine. Osservazione che potrebbe essere superata da un ordine solo verbale.

Ma Jatras riannoda i fili di quei giorni rammentando “un documento che ho reso pubblico il 12 agosto 1998, come analista presso il Comitato per la politica dei repubblicani del Senato degli Stati Uniti, intitolato Bosnia II: l’amministrazione Clinton imposta la rotta per l’intervento della NATO in Kosovo'”.

Nel documento si spiegava “come, in quel momento – ben due mesi prima che  la presunta ‘cospirazione criminale’ di Milošević [sulla pulizia etnica] avesse inizio: ‘…la pianificazione per un intervento NATO guidato dagli Stati Uniti in Kosovo è ormai in gran parte in atto […]. L’unico elemento mancante sembra un evento – con una copertura mediatica sufficientemente efficace – che renda l’intervento politicamente spendibile, addirittura imperativo, come quando l’Amministrazione [Usa] decise di intervenire in Bosnia nel 1995 dopo una serie di ‘colpi di mortaio serbi'”.

“Attacchi che allora causarono la morte di dozzine di civili e che, a un esame più attento, potevano in realtà essere stati effettuati del regime musulmano di Sarajevo, il principale beneficiario dell’intervento” NATO.

Quindi, dopo aver criticato in tal modo il primo intervento NATO in Bosnia, ammoniva sulla possibilità che venisse reiterato qualcosa di simile per intervenire contro la Serbia, aggiungendo: “Che l’amministrazione sia in attesa di una simile ‘innesco’ in Kosovo è sempre più evidente: [come riportato nel  Washington Post , 4 agosto 1998], ‘Un alto funzionario del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti che ha parlato con i giornalisti il ​​15 luglio ha osservato che ‘per ora non siamo neanche lontanamente vicini a prendere una decisione per un intervento armato in Kosovo, … [ma] penso che se venissero raggiunti certi livelli di atrocità tutto ciò diventerebbe intollerabile, probabilmente sarebbe un fattore scatenante’”.

“[…] il punto non era più se Belgrado stesse pianificando l’espulsione dei [musulmani], ma che Washington stesse cercando un pretesto per l’aggressione. […] Come sappiamo, a tempo debito fu trovato il ‘fattore scatenante’ adatto con il cosiddetto ‘massacro di Račak’ del gennaio 1999. La figura chiave nella ‘sponsorizzazione’ di Račak fu William Walker”, allora a capo della Missione di verifica del Kosovo.

Fu questi a disvelare l’asserito eccidio perpetrato dai serbi al mondo. Sul punto, Jatras riporta uno scritto di Mark Ames e Matt Taibb pubblicato nel 2000 su The Exile.: recatosi a Račak con un nutrito seguito di cronisti per esaminare i 40 cadaveri ivi rinvenuti, ‘Walker cercò la telecamera più vicina e praticamente sparò il primo colpo della guerra’”.

“Da quello che ho visto, non esito a definire questo crimine un massacro, un crimine contro l’umanità, disse. ‘Né esito ad accusare di esso le forze di sicurezza governative'”. Nessuna inchiesta su quanto accaduto e la macchina militare americana si mise in moto.

Serbia, l’asserito eccidio di Račak

Sul punto, soccorre il racconto della giornalista Tiziana Boari, allora membro della missione Osce, che ricorda di essere intervenuta sul luogo insieme a Walker e ai tanti giornalisti al seguito e di come la scena del crimine fosse stata “violata”: nessuna transenna, tutto calpestato, “inquinato”. E di come, tornato in sede, nel pomeriggio stesso, senza il supporto di nessuna “indagine scientifica”,Walker mosse le accuse contro la Serbia.

La Boari racconta che l’Uck prese in consegna i corpi e li portò in un villaggio vicino. A procedere all’indagine avrebbe dovuto essere il magistrato del tribunale di Pristina Danika Marinkovic, che però rifiutò di recarsi nel villaggio perché la Missione di verifica del Kosovo, guidata da Walker, le rifiutò la scorta armata.

Due giorni dopo, i soldati serbi recuperarono i corpi con la forza e li portarono a Belgrado dove furono esaminati da medici serbi con la supervisione di due medici bielorussi. Quelle analisi non furono rese pubbliche, ma la Boari le riuscì a vedere nel 2000 e ne scrisse, raccontando che le 15 analisi da lei visionate escludevano che si trattasse di esecuzioni e che le asserite mutilazioni dei corpi, ampiamente pubblicizzate per rendere più orrorifico il quadro, erano state causate da animali.

La Boari ricorda anche che Dusan Dunjjc, patologo dell’istituto di medicina forense di Pristina, prima di procedere all’autopsia, aveva fatto la prova del guanto di paraffina, risultato positivo su 37 cadaveri, segnalando che erano guerriglieri.

Analisi di parte certo, ma la Boari racconta che il 22 gennaio i cadaveri furono presi in carico da analisti finlandesi, che li analizzarono sia in loco che in patria e in 39 casi su 40 le autopsie “esclusero l’ipotesi dell’esecuzione sommaria”.

Eppure, la capo del team finlandese Helena Ranta, non ufficializzò mai quei risultati, pubblicando un rapporto non ufficiale confuso e contraddittorio, che però smentiva alcune ricostruzioni dei serbi (anche se confermava la natura delle mutilazioni).

E, però, vi si leggeva chiaramente: “Le indagini medico-legali non possono dare una risposta definitiva alla domanda se ci sia stata una battaglia o se le vittime siano morte in altre circostanze”, come annotava il Guardian.

Recak report finds Serbs guilty

Nella ricostruzione del tabloid britannico anche la smentita del guanto di paraffina fatto dai serbi grazie a un’analisi più moderna, ma la Ranta in un’intervista molto successiva ha chiaramente detto che non è stato fatto alcun accertamento in merito.

Pressata da Walker e da tanti altri perché accusasse i serbi, come ha rivelato nell’intervista succitata, resistette. Ma, pur non avendo raggiunto conclusioni, in un’affollata conferenza stampa tenuta a Pristina ebbe a dire che, da essere umano, reputava che a Račak si fosse consumato un “crimine contro l’umanità”.

L'esperta forense finlandese Helena Ranta: a causa del rapporto su Racak tutti mi hanno fatto pressione

Una frase sulla quale nell’intervista postuma espresse “rammarico” per l’interpretazione che gli fu data, ma che bastò a incendiare l’Europa. Infatti, fu brandita come una conferma delle accuse di Walker. Da lì a poco le bombe Nato avrebbero iniziato a piovere sulla Serbia. La prima guerra forgiata dai neoconservatori, come osserva Jatras, la prima pietra del Project for the New American Century, per perpetuare ad libitum l’egemonia globale Usa nell’era post ’89.

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