12 Aprile 2018

Siria: Putin e Trump, nemici riluttanti

Siria: Putin e Trump, nemici riluttanti
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Clima da terza guerra mondiale, anche se la frenesia dell’inizio della crisi ha subito una pausa.

Siria: i tweet di Trump e il discorso di Pompeo

I media hanno riportato i tweet di Trump di ieri, nei quali il presidente minacciava una pioggia di missili “intelligenti” contro la Siria. E si rammaricava per i cattivi rapporti con la Russia. Con allusione finale a Mosca: “Fermare la corsa agli armamenti?”.

Ha fatto notizia più il primo tweet che il secondo. Ma vanno letti insieme. Tanto più che il rammarico per i cattivi rapporti con Mosca sta anche nell’altro tweet, di ieri, che attribuiva tale deterioramento all’inchiesta sul Russiagate.

Pare che Trump abbia messo il motore in folle: vuol colpire, ma disarmare. E il cenno ai missili “intelligenti” sembra suggerire la possibilità di un’azione limitata.

Fosse un messaggio implicito, si direbbe che abbia chiesto alla Russia di trovare un accordo, nei modi e nelle forme possibili, per avere luce verde per alcuni raid limitati e disarmare la crisi.

Da notare anche il discorso di Mike Pompeo al Congresso, chiamato a ratificare la sua nomina a Segretario di Stato. Con lui, ha detto, è finita l’era del “soft power” riguardo la Russia.

Ma, allo stesso tempo, ha affermato la necessità di conservare sempre aperti i canali diplomatici con Mosca.

Significativo anche altro: “Pochi temono la guerra più di quelli” che hanno fatto il militare; e “c’è molta differenza tra una presenza militare e la guerra; la guerra è sempre l’ultima risorsa. Gli obiettivi di politica estera vanno conseguiti con una diplomazia inesorabile”.

Il cenno sulla presenza militare è importante. Perché la crisi è iniziata quando Trump, la settimana scorsa, ha detto di voler porre fine alla presenza militare americana in Siria.

Benjamin Netanyahu lo aveva subito chiamato per fargli cambiare idea. Una telefonata “tesa”, segno che il presidente Usa è rimasto sulle sue posizioni.

La vicenda di Douma ha cambiato tutto, costringendo Trump a impegnarsi ancora di più in Siria.

La fermezza di Putin

Ieri Netanyahu ha anche chiamato Putin. Una nota del Cremlino ha riferito i temi e, implicitamente, anche il tono della conversazione.

Riferendosi all’attacco israeliano alla base aerea siriana T4 di sabato scorso, Putin “ha sottolineato l’importanza del rispetto della sovranità siriana e ha chiesto di astenersi da qualsiasi iniziativa che possa ulteriormente destabilizzare la situazione nel Paese”.

Posizione ferma dunque, quella del presidente russo. Probabile che anche i suoi interlocutori americani abbiano capito che il rischio di un conflitto atomico è reale.

Da qui un abbassamento dei toni. Auspicato anche da Putin, che ieri ha detto che spera “prevalga il buon senso e che le relazioni internazionali proseguano in modo costruttivo e che tutti i sistemi del mondo possano diventare più stabili e prevedibili”.

Un segnale in tal senso anche dalla dichiarazione del suo portavoce Dmitry Peskov, che ha riferito che la linea di deconfliction, che collega il Comando americano in Qatar con quello russo in Siria, è “attiva” e usata “da entrambe le parti”.

Di incognite e pressioni belliche

Ma tante le incognite. Dovute anzitutto alla spinta del premier israeliano, che si è fatto garante di fronte alle forze militari e politiche del suo Paese sul nodo della presenza iraniana in Siria, pietra di inciampo da rimuovere.

Ne ha beneficiato personalmente: da quando è scoppiata la crisi le inchieste giudiziarie sul suo conto sono sparite dall’orizzonte. Ma sembra voler ottenere quanto promesso a tutti i costi, nonostante i rischi.

Anche il premier britannico Theresa May è stato beneficiato della crisi: la sua vacillante posizione è diventata solida. Tanto che ha potuto – almeno finora – sottrarre al Parlamento la decisione su un possibile ingaggio bellico. Si ripete il copione di quando Blair spinse George W. Bush a invadere l’Iraq.

Anche Macron ha deciso. Tanto che oggi ha annunciato che la Francia ha le prove delle responsabilità di Assad per l’attacco a Douma.

Si ripete quanto avvenuto per l’attacco chimico avvenuto lo scorso anno nei pressi di Idlib. La Francia disse di avere “prove” contro Assad. Fu poi smentita dal ministro della Difesa Usa James Mattis, ma a danno fatto.

Così, a fronte di un’amministrazione Usa più consapevole dei rischi di una guerra nucleare, persistono le spinte contrarie dei suoi alleati. Che si sommano a quelle interne dei neocon.

Arduo resistere. La fermezza di Putin può aiutarla a smarcarsi. Vedremo.

 

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