28 Marzo 2018

Skripal: le misteriose vie del gas nervino

Skripal: le misteriose vie del gas nervino
Tempo di lettura: 3 minuti

Monta il caso Skripal: la Ue e gli Stati Uniti cacciano centocinquanta diplomatici russi. I venti di Guerra Fredda si rafforzano.

Scrive Federico Rampini sulla Repubblica: “La sanzione arriva appena pochi giorni dopo una cordialissima telefonata Trump-Putin in cui il presidente americano si era congratulato per la rielezione del suo omologo russo”.

“[…] Continua il “doppio binario” delle relazioni Usa-Russia”, continua Rampini, “la tecno-struttura (Pentagono, intelligence) costringe a fare l’esatto opposto di quel che vorrebbe Trump”.

Il caso Skripal e i laboratori uzbeki

Il gas Novichok usato per avvelenare Skripal e la figlia Julia, spiegava Franceschini in un altro articolo della Repubblica, fu testato “in Uzbekistan, allora parte dell’Unione sovietica: e quei laboratori (come altre strutture statali), nel caos del crollo dell’Urss vennero abbandonati”.

Il controllo di quei laboratori fu ripreso solo un “decennio dopo”, prosegue il cronista, il quale riporta la testimonianza dell’esperta di armamenti Amy Smithson, che non esclude che qualcuno abbia “trafugato il gas nervino”.

“Nel 1995”, fa notare ancora Franceschini, “un banchiere russo e la segretaria furono assassinati con un veleno nascosto nel ricevitore del telefono: l’avvocato russo Boris Kuznetsov afferma che era gas proveniente dal laboratorio uzbeko, venduto attraverso intermediari”.

Un cenno che rimanda a quanto scrive Fabrizio Dragosei sul Corriere della Sera: secondo lo scienziato russo Vladimir Uglev “grosse quantità di questi agenti nervini sono stati venduti dagli stessi scienziati a malavitosi per poche centinaia di dollari”. Così il Novichok è “disponibile al mercato nero e […] chiunque lo può acquistare ed utilizzare. Anche in Gran Bretagna”.

Le domande sulle misteriose vie del gas russo si sommano ad altre. Quelle che evidenzia Rampini concludendo la sua nota: Craig Murray, ex ambasciatore britannico in Uzbekistan, spiega che “non si vede ‘il movente’: l’avvelenamento dell’ex spia è servito a unire l’Occidente e a rafforzare internamente Theresa May indebolita dalla Brexit. Dov’è il vantaggio per Putin in tutto ciò?”.

Peraltro l’Uzbekistan, dopo il crollo dell’Unione sovietica, intrecciò buone relazioni con gli Stati Uniti, tanto che, dopo gli attentati alle Torri gemelle, gli diede il controllo della base aerea di Karshi-Khanabad, che  ebbe un ruolo chiave nelle operazioni militari contro al Qaeda in Afghanistan.

Bolton e le false flag

Per concludere, val la pena ricordare quanto affermò John Bolton quando scoppiò lo scandalo legato alle manovre di asseriti hackers russi per favorire Trump nella corsa alla Casa Bianca: “Un servizio di intelligence straniera davvero sofisticato non lascerebbe alcuna impronta digitale” (vedi Huffington Post).

Per Bolton, infatti, l’impronta digitale russa era stata lasciata di proposito: un’operazione False flag la definì, come si chiamano in gergo le operazioni create ad arte per far ricadere la colpa su un antagonista.

Il  nuovo Consigliere per la sicurezza nazionale Usa si è ben guardato dal ribadire tale concetto per il caso Skripal, che pure appare del tutto similare (stante il gas “firmato”). Forse perché i neocon, di cui è fiero esponente, non sembrano estranei all’irrigidimento di Washington con Mosca.

L’ossessività di questa nuova campagna anti-russa non lascia spazio per approfondimenti. Neanche investigativi, dal momento che ancora non è stata esibita alcuna prova delle responsabilità russe.

Il vento maccartista ottunde e piega resistenze, come dimostra il compattamento della Ue ai desiderata di Londra e Washington. Forse dovuto a “ricatti”, come da accuse di Serghei Lavrov riportate da Alberto D’Argenio sul Corriere della Sera.

Secondo D’Argenio, il cenno del ministro degli Esteri russo voleva legare la sospensione dei dazi sui prodotti europei da parte di Washington con la svolta anti-russa della Ue. Vedremo gli sviluppi.

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