3 Marzo 2023

Ucraina: le operazioni in Russia e l'incontro Blinken-Lavrov

Blinken e Lavrov casualmente vicini durante il G20 di New Delhi. Ucraina: le operazioni in Russia e l'incontro Blinken-Lavrov
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Alcuni giorni fa dei droni ucraini hanno tentato di attaccare delle infrastrutture in territorio russo e la città di San Pietroburgo, la seconda più grande del Paese. E ieri l’incursione di un manipolo di armati ucraini nella regione russa di Bryansk.

Operazioni che segnalano un’ulteriore svola del conflitto. L’idea di chi ha programmato tali iniziative è quella di creare insicurezza e destabilizzare il nemico e, allo stesso tempo, di dare un segnale che l’Ucraina ha ancora diverse frecce nel proprio arco, nonostante sia costretta sulla difensiva.

Il punto, però, è che, tali operazioni non hanno alcun impatto sulla guerra in corso, sono uno spot propagandistico, buono solo per incrementare la narrativa in stile hollywoodiano di questa guerra. Anzi, una conseguenza potrebbe averla, e alquanto spiacevole per gli ucraini, cioè quello di forzare la mano ai russi.

Putin finora ha frenato, imponendo direttive al suo esercito per condurre una campagna mirata, che, sebbene registri vittime civili, non è lontanamente paragonabile agli orrori della campagna “shock awe” dei bombardamenti indiscriminati sulle città irachene.

Operazioni fuori registro e loro possibili conseguenze

Se le operazioni di destabilizzazione proseguiranno, lo zar dovrà cedere alle pressioni per intensificare e ampliare la portata delle operazioni, analogamente a quanto avvenne all’inizio dell’invasione, decisa anche a seguito delle immagini della fuga in massa dei cittadini del Donbass verso la Russia, inseguiti delle bombe delle forze di Kiev.

In quei giorni l’Osce, chiamato a monitorare la linea di contatto tra le regioni ribelli e il resto dell’Ucraina, registrava un “drammatico aumento” delle violazioni del cassate il fuoco, pur senza specificare responsabilità, evidenziate invece da un reportage di Sky news, nel cui commento si legge: “il Donbass è sotto attacco dell’esercito di Kiev”.

Non si tratta di rinvangare il passato né di dare o meno una giustificazione all’invasione russa, solo di evidenziare come anche lo zar, nonostante accentri tanto potere, deve tener conto delle opinioni della società e dell’esercito; e che le azioni improvvide, per usare un eufemismo, di questi giorni, se proseguiranno, rischiano di avere conseguenze drammatiche per la popolazione ucraina.

Per capire cosa intendiamo per improvvido ricorriamo a un esempio banale. Se durante la guerra irachena un commandos di Saddam fosse penetrato in America e avesse ucciso due persone – il bilancio dell’incursione dei sabotatori ucraini in Russia – e un drone iracheno avesse costretto a chiudere per ore i cieli sopra New York – come avvenuto a San Pietroburgo -, si può facilmente immaginare che l’Iraq sarebbe stato ridotto a una rovina fumigante… E, ovviamente, tali azioni sarebbero state bollate come terrorismo, cioè il termine usato nell’occasione dalle autorità russe.

Eppure i media d’Occidente, nulla importando tali tragiche implicazioni, riferiscono di tali operazioni con malcelata soddisfazione, come se la guerra in corso fosse un giocone del quale dilettarsi.

Kiev chiede a Washington le bombe a grappolo

Tali azioni, al netto delle considerazioni di cui sopra, hanno motivazioni e uno scopo ben preciso. Anzitutto, dimostrano che le frecce nella faretra delle forze ucraine iniziano a scarseggiare, tanto da dover ricorrere a iniziative fuori registro.

Lo dimostra in maniera plastica un altro passo di Kiev, la richiesta pervenuta a Washington, altrettanto fuori registro e altrettanto inquietante, di fornire alle forze ucraine le bombe a grappolo.

Ne riferisce Josh Rogin sul Washington Post, spiegando che gli Stati Uniti hanno immagazzinato una grande quantità di tali armamenti. Ma, come ricorda l’articolo, tali bombe sono state bandite da una Convenzione internazionale perché “a volte non esplodono all’impatto, disseminando il campo di battaglia di materiale potenzialmente letale, che resta sul terreno molto tempo dopo la fine dei combattimenti”.

Come ha dichiarato a Rogin l’ex deputato democratico e difensore dei diritti umani Tom Malinowski, si tratterebbe di inviare a Kiev “dei proiettili che stanno arrugginendo sui nostri scaffali perché screditati, delle armi che uccideranno i bambini ucraini [o russi ndr] negli anni a venire”.

Ma proprio perché stanno arrugginendo nei magazzini e perché Washington non ha aderito alla Convenzione che mette al bando tali armamenti, è possibile che questi siano effettivamente inviati a Kiev, sia in forma pubblica, ma più probabilmente sottobanco, dal momento che Washington rischierebbe di perdere punti di immagine. D’altronde, nonostante i dubbi che pure evidenzia nell’articolo, Rogin conclude: “Dovremmo onorare la loro richiesta”…

Sperando che tale ulteriore follia sia evitata dalle menti più lucide dell’amministrazione Usa e della Nato, resta che sulla richiesta aleggia un velo di disperazione da parte degli strateghi di Kiev.

Ciò perché evidentemente vedono nella prossima caduta di Bakhmut – che hanno scelto di difendere allo stremo invece di ritirarsi, come da esortazioni Usa, perché indifendibile – un colpo nefasto alla loro trionfalistica narrativa. Il rischio che per coprire tale disfatta si ricorra ad azioni drammaticamente eclatanti è alto.

Spiragli

D’altronde che le cose non vadano secondo i piani dell’Occidente, lo dimostra anche il fatto che il G-20 dei ministri degli Esteri, riunito ieri a New Delhi, non si è concluso con una condanna dell’invasione russa, come invece assicuravano tanti media.

Mentre la guerra e suoi orrori-errori si trascina, due piccoli spiragli. Anzitutto la visita del Cancelliere Scholz a Washington. Così il titolo del New York Times: “Scholz visita Washington tra le preoccupazioni per un ‘Endgame’ in Ucraina”.

Questo il sottotitolo: “Il cancelliere Olaf Scholz arriva venerdì per una normale visita di lavoro con il presidente Biden, alimentando però speculazioni sul fatto che discuteranno questioni difficili su come porre fine alla guerra”.

Un cenno che va associato a quanto avvenuto ieri al G-20. Nel partire per New Delhi, Blinken aveva annunciato urbi et orbi che non avrebbe incontrato per nessun motivo né il suo omologo russo né quello cinese. Invece, a sorpresa, si è incontrato con Lavrov, la prima volta dall’inizio della guerra ucraina.

Nel report dell’incontro, il Dipartimento di Stato ha riferito che Blinken avrebbe detto al suo interlocutore che gli Usa sosterranno allo stremo Kiev e che ha chiesto la liberazione di un americano detenuto in Russia. Questo è quanto doveva essere riferito. Ma non era necessario incontrare di persona Lavrov per simili ovvietà… Piccoli spiragli, ma nessuna sicurezza e non a breve.

 

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